10 febbraio 1931, vacante campionato italiano pesi medio-massimi tra Preciso Merlo e Carlo Saraudi 
            
            di Alessandro Bisozzi 
            [Carlo Saraudi] era nato nel 1899 e a Civitavecchia era un personaggio assai noto. 
            Soprannominato "er  mammanone", nomignolo che ereditò dalla madre chiamata la "mammanona",  Carlo aprì una palestra pugilistica tutta sua quando non aveva ancora  vent'anni. 
            Tirava pugni e li tirava  piuttosto bene, inoltre aveva la mirabile qualità di saper insegnare,  agli altri, un'arte dalle regole ancora non ben definite. 
            Restò dilettante a lungo. A  ventiquattro anni conquistò il titolo italiano dei medio-massimi e  l'anno dopo fece parte della squadra pugilistica inviata a Parigi per le  Olimpiadi. 
            Si allenò a lungo per  partecipare a quei giochi. Voleva passare professionista dopo essersi  messo al collo quella medaglia che fino ad allora nessun'altro pugile  italiano era riuscito a conquistare. 
            Fu probabilmente la delusione più grande della sua carriera. 
            Arrivò in semifinale, e al Velodromo d'Inverno, in nove minuti, castigò duramente l'inglese Harry Mitchell. 
            Tutti, compresi i  giornalisti sportivi francesi, notoriamente ostili agli atleti azzurri,  gridarono allo scandalo quando fu pronunciato il verdetto che dava  l'accesso alla finale al pugile d'oltremanica. 
            C'era stato un precedente  nel pomeriggio della stessa giornata, quando su quello stesso ring salì  il peso mosca Rinaldo Castellenghi che affrontò l'americano Fidel  LaBarba. Un'altro vergognoso responso della giuria che premiò l'atleta  di origini italiane destinato a diventare uno dei più grandi pugili di  tutti i tempi, ma che in quell'occasione fu sonoramente battuto dal  piccolo Rinaldo. 
            La misura fu colma e la federazione italiana, per protesta, decise di ritirare l'intera squadra pugilistica dalle competizioni. 
            Per Castellenghi e per  Saraudi non solo la delusione di essere stati derubati della finale, ma  anche la frustrazione di vedersi preclusa la possibilità della conquista  della medaglia di bronzo. 
            Carlo passò poi  professionista e a ventisette anni si imbarcò per gli Stati Uniti, dove  sostenne quindici incontri perdendone solo uno. Alla fine del 1928 fu  costretto a tornare in Italia a causa dell'aggravarsi delle condizioni  di salute del padre, malato da tempo. 
            A Civitavecchia riprese la  sua attività e riprese anche ad allenare le giovani generazioni, sempre  più attratte da quello sport in rapida diffusione. 
            Dopo alcuni incontri  vittoriosi, per Carlo si presentò l'occasione di chiudere la carriera  con un trofeo che potesse consacrarlo, finalmente, tra i grandi campioni  del professionismo. In un match preliminare a Civitavecchia egli aveva  battuto il più quotato tra i pretendenti a quel trofeo, un ragazzo  fortissimo undici anni più giovane di lui, conquistando così il diritto  di giocarsi il titolo d'Italia dei medio-massimi. 
              
            Il torinese [Preciso Merlo],  a guardarlo bene, pareva aver anticipato di almeno cinquant'anni il  modello del pugile muscoloso prodotto in palestra. Atleta dotato di  mezzi poderosi e di una tecnica collaudatissima, Preciso aveva avuto,  fino ad allora, poche possibilità di mettere in mostra le sue buone  qualità di picchiatore instancabile. 
            La sconfitta subita due  mesi prima, contro Saraudi, non aveva scalfito la sicurezza del giovane  torinese il quale, in una categoria di peso per la verità un po' scarsa  di buoni elementi, rimase lo sfidante numero uno per il vacante titolo  italiano. 
            È il 10 febbraio  1931, nei preliminari che anticipano il campionato d'Italia dei pesi  medio-massimi, al Teatro Chiarella di Torino, salgono sul ring due altri  atleti di Civitavecchia e allievi dello stesso Saraudi. 
            Il peso leggero Astolfo De  Negri pareggia un match col milanese Gustavo Di Mauro, mentre il  campione italiano dei pesi piuma, Vittorio Tamagnini, costringe al  ritiro il francese Albert Chambourg, all'ottava ripresa. 
            Il pubblico è naturalmente  tutto dalla parte di Merlo che quando sale sul ring è accolto da  un'autentica ovazione. Saraudi è abituato alle battaglie su terreno  sfavorevole e non si lascia impressionare dalle grida dei sostenitori  del torinese. 
            La lunga e solitaria  militanza negli Stati Uniti, quando saliva sul ring tra l'ostile  freddezza del pubblico yankee, lo aveva reso completamente insensibile a  tutto ciò che accadeva al di fuori delle dodici corde. Carlo sapeva  concentrarsi come pochi altri atleti riuscivano a fare, prima del  combattimento. 
            Nulla, in lui, lasciava  trapelare il benché minimo segno di preoccupazione. Il viso diventava  una maschera dai lineamenti duri ed ermetici; i suoi gesti, le sue  movenze calme e misurate, l'imperturbabile autocontrollo durante i  preliminari erano particolari che lo identificavano, in modo  inequivocabile, come un abile atleta di mestiere ed esperto combattente.  Sul torace, intorno alle ampie spalle e sulle braccia affioravano fasci  muscolari lunghi e delineati che facevano intuire una preparazione  atletica formidabile. 
            Il civitavecchiese aveva  trentadue anni, ma il confronto fisico col prestante ventunenne torinese  reggeva alla perfezione. Si confrontavano due solidi colossi. 
            Nonostante Saraudi  rappresentasse il passato, la boxe d'altri tempi, quella prepotente,  aggressiva e un po' selvaggia di cui era stato pioniere e precursore, la  sua scherma era quanto di più scientifico e intelligente potesse  applicarsi ad uno sport che faceva dell'annientamento fisico  dell'avversario il suo fine ultimo. 
            Merlo rappresenta, invece,  la novità, il futuro, l'atleta dal fisico perfetto, longilineo e  scattante, dai muscoli elastici e resistenti. Eppure egli sa di avere  davanti un pericolosissimo antagonista, l'unico che può realmente  bloccare la sua veloce ascesa al titolo italiano. 
            Il match si apre con una  certa cautela, Merlo è prudente, circospetto, non azzarda ad uscire  dalla guardia se non per qualche colpetto di assaggio. I due contendenti  si scambiano cortesie fino alla seconda ripresa, quando un preciso  gancio destro di Saraudi rompe gli indugi e si pianta sul mento del  torinese. È l'inizio della battaglia. 
            Merlo cerca la posizione  migliore, si muove rapido e aggira di continuo l'avversario, poi sferra  un potente diretto sinistro che colpisce la fronte del civitavecchiese.  Un colpo forse male assestato e i cui effetti sembrano aver danneggiato  più lui che Saraudi. Da quel momento, infatti, egli usa il sinistro solo  per bloccare o sollevare il braccio destro del rivale. 
            Uno stupido incidente che  danneggia la sua mano in maniera piuttosto grave e che lo ostacolerà per  tutto il resto del combattimento. 
            Saraudi si muove poco,  affida il confronto alla sua superiore tecnica ed esperienza, aspetta  l'avversario al varco, lo lascia sfogare e poi lo castiga d'incontro con  spietato tempismo. Ha notato la difficoltà di Merlo e insiste su quel  lato del corpo, cercando più volte di costringerlo a usare la mano  sinistra per bloccare i suoi colpi. Vuole fiaccarlo, ridurre la sua  resistenza e farlo scoprire, allora lo colpisce più volte alla figura,  al fegato, ai fianchi, ma capisce che il giovanotto è molto forte  nonostante combatta praticamente con una sola mano. 
            Lo scontro si fa  ravvicinato, il civitavecchiese cerca il contatto per meglio sfruttare i  suoi poderosi montanti, Merlo appare più volte in difficoltà, cerca di  sganciarsi, arretra, scarica a più riprese il lunghissimo e pericoloso  diretto destro che però in poche occasioni va a segno. 
            Saraudi è più efficace, spara meno colpi ma quasi tutti a bersaglio. L'avversario è invece più potente, ma impreciso. 
            Pur accusando, alla lunga,  una certa stanchezza, il pugile laziale continua ad essere il più abile  tra i due; l'esperienza ha giocato finora un ruolo fondamentale e Merlo  riesce a recuperare il comando delle operazioni solo nelle ultime  quattro riprese, quando la sua maggior freschezza prende il sopravvento  sulla tenuta dell'avversario. 
            Dodici minuti durante i  quali il torinese si gioca il tutto per tutto, gettandosi all'attacco  con rabbiosa determinazione e dimenticandosi spesso della mano ferita.  Saraudi è costretto alla difesa, vorrebbe lasciar scivolare via il match  senza grossi danni per lui perché ha la certezza di essere in  vantaggio, ma in un paio di occasioni lascia la possibilità, al rivale,  di toccarlo con una certa durezza al viso. Prima un bel crochet destro  alla tredicesima ripresa che lo coglie di sorpresa, poi un'altro alla  quindicesima, un colpo potente e ben assestato che il civitavecchiese  accusa nettamente. 
            Merlo fu sicuramente  ostacolato dall'incidente alla mano sinistra, ma la superiorità tecnica  di Saraudi, che tenne in pugno il confronto per la maggior parte del  combattimento, fu chiara a tutti. 
            Il verdetto fu accolto  dagli inevitabili applausi del pubblico di Torino, ma salirono numerosi  anche i fischi ad accompagnare una decisione che tenne conto soprattutto  del fatto che dal veterano Saraudi ci si poteva ormai attendere ben  poco in futuro. 
            Preciso Merlo era il nuovo campione d'Italia dei pesi medio-massimi. 
            Carlo Saraudi tornò a Civitavecchia e cominciò per lui una seconda brillante carriera: quella di allenatore. 
            Furono decine i giovani talenti scoperti dal maestro nella sua città natale e molti di loro diventarono campioni. 
            Il pugilato  civitavecchiese, che ha conosciuto glorie e affermazioni in passato, da  Vittorio Tamagnini ai fratelli Giulio e Vittorio Saraudi, passando da  Franco Scisciani, Salvatore Manca, Nicola Funari e altri ancora,  continua oggi a mietere successi internazionali con i fratelli Silvio e  Gianluca Branco ed Emiliano Marsili. 
            Ognuno di questi campioni, nessuno escluso, deve qualcosa all'indimenticato Carlo Saraudi. 
              
            Subito dopo la guerra, mio  padre Franco frequentò, per alcuni anni, la palestra della "Pugilistica  Civitavecchiese" di Carlo Saraudi. 
            Ancora oggi mi racconta  che Carlo non era un uomo dal carattere facile. Era uno di quei maestri  all'antica, burbero e dalle maniere spicce, capace di farsi intendere  con una sola occhiata. 
            Durante la sua lunga  carriera si era rassegnato a decine di verdetti di giurie non sempre  imparziali. Ma una decisione non l'avrebbe mai più digerita: quella  della Federazione Pugilistica Italiana che gli impedì di battersi per il  terzo posto alle Olimpiadi. 
            È l'ingiustizia più grande per un pugile il non avere possibilità di riscatto. 
            Nonostante l'età, ogni tanto era solito togliersi la soddisfazione di risalire sul ring e fare da sparring partner a qualcuno. 
            Quando Carlo Saraudi  indossava i guanti, tutti gli allievi della palestra sospendevano gli  allenamenti e si raccoglievano intorno alle corde per assistere, in  religioso silenzio, a un autentico spettacolo di pura arte pugilistica. 
              
            Alessandro Bisozzi 
            
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