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BISOZZI AL SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO DI TORINO

14/05/2016 - 16:45:10

 

 

Alessandro Bisozzi al Salone Internazionale del Libro di Torino

Alessandro Bisozzi porta  le storie di pugilato e  di grandi campioni alla prossima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, con il suo libro "Vittorio Tamagnini, l'uragano di Amsterdam", presente all'importante evento fieristico editoriale con la Aster Academy International.

Alessandro Bisozzi, passione di scrivere e di farlo con libri di sport, il pugilato e le storie umane di grandi campioni del passato portando alla luce anche aspetti un po' dimenticati e impolverati dal tempo ma che accendono i riflettori sui grandi valori dello sport, delle sfide, delle sofferenze e dei trionfi. Il suo libro "Vittorio Tamagnini, l'uragano di Amsterdam" racconta la storia di un grande pugile suo concittadino, un'esperienza che lo ha proiettato nella pubblicazione di un nuovo libro "I Campioni" dove racconta le origini del pugilato Civitavecchiese, rimanendo fedele nel divulgare grandi storie di pugilato dei campioni della sua città.
Lo abbiamo incontrato in occasione della sua prossima partecipazione al Salone Internazionale del Libro di Torino con la Aster Academy International.

D: Come nasce la tua passione per la scrittura?
R: A dire il vero non saprei indicare come mi è nata la passione per la scrittura. Seguo un piace-vole istinto, un impulso.
Credo sia nato tutto con la passione per la lettura. Ho scoperto prestissimo la magia seducente dei libri: leggendo potevo scappare dalla realtà, evadere e sognare. Non che il mondo reale mi dispiacesse, naturalmente, ma attraversare mari tempestosi o foreste inesplorate, vagare nello spazio infinito o sprofondare negli abissi con il capitano Nemo o nelle viscere della terra insieme al professor Otto Lidenbrock e suo nipote Axel erano cose che suscitavano in me un fascino ir-resistibile. Erano i videogame dell’epoca, la mia realtà virtuale, e avevo la possibilità di entrarci, ogni volta ne avessi avuto voglia, solo aprendo un libro di Jules Verne, Emilio Salgari o Jack London, in assoluto gli autori più letti durante la mia adolescenza.
Sono un sognatore spontaneo e un po’ ingenuo e devo probabilmente a queste letture se oggi amo scrivere.

D: Com’è nata l’idea di scrivere un libro sul pugilato?
R: L’idea di scrivere un libro sul pugilato nasce ovviamente dalla mia passione per la “nobile ar-te”. Passione scaturita anche da letture come quelle dei racconti raccolti nel libro “Storie di pu-gni”, di Jack London. Sono stato sempre attratto dall’av¬ventura, dai romanzi che mi permette-vano di vivere realtà lontane, a volte immaginifiche.
Ma quella che un giorno mi raccontò mio padre non era una storia frutto della fantasia. Stavamo guardando un incontro di pugilato in televisione, era il torneo delle Olimpiadi di Monaco del 1972. Scoprii che molti anni prima, alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928, un giovanissimo at-leta civitavecchiese conquistò la prima medaglia d’oro per il pugilato italiano.
Quell’uomo lo incontravo quasi tutti i giorni perché tre volte alla settimana andavo a casa di suo figlio Mauro, professore di liceo, per prendere lezioni private di matematica.
La suggestione dei racconti di Jack London si confondeva a quel tempo con le dettagliate de-scrizioni che mio padre si divertiva a interpretare circa le “mirabolanti” imprese sportive di quell’a¬tleta; un mito sportivo incrollabile per la nostra città: Vittorio Tamagnini.
Quelle storie che si raccontavano su di lui sembravano leggende: il primo pugile italiano cam-pione olimpico, da dilettante, il primo che riuscì a battere un campione del mondo in carica, da professionista.
Tre volte campione italiano, tre volte d’Europa. Classificato, nel 1934, tra i dieci pesi piuma più forti al mondo. Confesso di avere avuto qualche dubbio, a volte, sull’attendibilità di quei dati, che ritenevo frutto di esagerazioni e fantasticherie popolari. Col tempo, invece, compresi addi-rittura che la realtà superava di gran lunga la fantasia. Tamagnini era stato davvero un grande campione.
Forse fu proprio in quel momento che nacque l’idea del libro.
Volevo raccontare la sua carriera, il suo tempo, i suoi avversari, le sue più celebri imprese. Vole-vo raccontare la storia di un campione così come l’avevo scoperta io.
Il sogno di scrivere la biografia sportiva di Vittorio Tamagnini rimase però chiuso in una scatola per decenni, tra ritagli di giornali del tempo e vecchie foto che lo ritraevano sul ring.
Poi, qualche anno fa, arrivò la crisi e persi il lavoro. Fu un trauma pesantissimo per me. Le gior-nate diventarono lunghissime. Avevo tempo a disposizione e assoluto bisogno di distrarmi. In un mercatino acquistai alcuni “classici” e – per uno di quegli strani scherzi che il destino a volte si diverte a giocare - un libro bellissimo: “Panama Al Brown”, di Edoardo Arroyo, biografia romanzata di uno dei più grandi campioni di pugilato di tutti i tempi. Trovai un’intera pagina dedicata all’incontro che Al Brown, già campione del mondo dei pesi gallo, ebbe con Vittorio Tamagnini nel 1932.
Il giorno dopo riaprii quella scatola e cominciai a scrivere.

D: Vittorio Tamagnini, come molti altri, ha scritto la sua pagina di storia nel pugilato. Cosa ti ha affascinato di più di questo personaggio al punto da scriverne un libro?
R: In parte ho già risposto prima a questa domanda. Tamagnini è stato per me un personaggio che assomigliava ai protagonisti dei racconti che conoscevo. Egli ha appartenuto a un’epoca leggendaria della boxe, quella dei pionieri. Credo di aver capito la reale grandezza del campione solo quando ho cominciato a leggere gli articoli, su di lui, dei giornali esteri. Avevo conosciuto un’icona dello sport, una celebrità, un idolo delle folle, un dominatore del ring che riempiva, con le sue imprese, le prime pagine dei più importanti rotocalchi sportivi del tempo. Tamagnini è stato per me una continua scoperta e la verità su di lui è venuta a galla un po’ alla volta.
C’era il fascino dei tempi eroici e romantici dello sport. C’erano le prime trasvolate atlantiche, i Tour de France sulle strade polverose, c’era un gigante friulano invincibile che sul ring si batte-va contro i gangster d’America e assi spericolati con la faccia sporca di grasso che su bolidi ve-locissimi sfidavano il tempo e la morte dietro a ogni curva. C’era la competizione, la rivalità, il duello e la purezza autentica del coraggio. C’era l’avventura degli uomini audaci.

D: Vuoi raccontarci le varie vicende, incontri, iniziative che si sono aperte dal momento della pubblicazione del libro?
R: Il libro è un autoprodotto così come il secondo che ho scritto, dedicato alla storia del pugila-to civitavecchiese.
Presentare il libro in pubblico è stata per me la cosa più difficile e complicata che ho dovuto af-frontare. Non avevo mai avuto alcuna occasione di parlare in pubblico e la cosa mi preoccupava parecchio. Ho passato intere nottate, all’inizio, per prepararmi.
Poi sono arrivati gli inviti alle radio e alle televisioni locali, le interviste. Andai migliorando l’eloquio e la mia sicurezza, apparivo ogni volta più disinvolto e naturale. Provavo addirittura piacere nel raccontare quasi recitando.
Ho avuto modo di conoscere tante persone, tra cui alcuni autori miei concittadini con i quali, lo scorso anno, abbiamo intrapreso un’avventura molto stimolante: trasformare la pagina facebook che avevamo creato - denominata “Book Faces” - in un’associazione culturale. Abbiamo orga-nizzato insieme delle presentazioni, collaborato con altre associazioni, partecipato a fiere e mer-catini con i nostri volumi. Abbiamo idee e progetti che vorremmo realizzare, sogni da rincorrere. Siamo travolti dall’entusiasmo, dalla passione, dall’euforia; a volte sembriamo dei ragazzi. Lo spirito giusto per andare avanti.

D: Nel pugilato, come anche in altri sport, riscontri quell’emozione umana che sembra appartenere più al passato che al presente?
R:  Nel pugilato quest’emozione è forse più accentuata che in altri sport, perché in esso è racchiusa la forma epica e ancestrale dell'eroismo: il coraggio del confronto fisico nel combattimento corpo a corpo. Lo spettacolo del pugilato ha sempre attirato folle enormi, dap-prima nei grandi anfiteatri, dove veniva praticato con modalità impietose e disumane, poi nelle arene improvvisate o all'interno di un recinto delimitato da una sola corda, in combattimenti massacranti che non avevano limiti di tempo. Poi ancora negli stadi ed infine in lussuosi Palaz-zetti dello sport che divennero veri e propri templi divinatori di osannati e famosissimi gladiato-ri contemporanei.
La boxe si è trasformata nel tempo, modificando i suoi moduli di comportamento senza tuttavia svilire del tutto il ruolo affascinante e attraente di una competizione dura e spietata.
Il pugilato lo si potrà anche detestare, ma seduce sempre, perché è la metafora stessa della vita in ogni sua espressione.
Confesso, comunque, di amare molto più il pugilato del passato che l’attuale. Credo che oggi sia impossibile trovare personaggi del calibro di Jack Dempsey, Jack Johnson, Joe Louis, Primo Carnera, Georges Carpentier, Cleto Locatelli, Mario Bosisio, Erminio Spalla, Rocky Marciano, Ray Robinson, Jack LaMotta, Marcel Cerdan, tanto per citarne alcuni.
Impossibile vivere le stesse emozioni provate dal pubblico che seguiva, estasiato, imprese desti-nate a diventare leggendarie.
Quell’emozione profonda, che sembra appartenere sempre al passato perché i grandi campioni non si dimenticano mai, si chiama ammirazione. Un affanno dell’animo, una trepidazione, che si può provare solo nei confronti di individui del tutto straordinari.

D: Conoscere queste imprese sportive del passato può essere fonte di ispirazione per i giovani sportivi di oggi?
R: Vorrei lo fosse. Ma la conoscenza va assimilata leggendo, soprattutto. Oggi i giovani leggo-no poco i libri e troppo le rapide e frammentarie informazioni snocciolate da internet. Inoltre queste storie vanno raccontate per essere conosciute, e purtroppo oggi la letteratura sportiva, ol-tre a non avere un largo seguito, non ha nemmeno autori che vi si dedicano volentieri.
Lo sport, nella sua essenza più pura, veicola valori importanti, eterni. Vincere una medaglia olimpica alle Olimpiadi è per ogni atleta il più alto riconoscimento della carriera. Nino Benvenu-ti, l’indimenticato campione mondiale di boxe, ammette di non aver avuto, da professionista, soddisfazione più grande di quella ottenuta conquistando la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma del 1960.
Alcuni Paesi hanno il culto della memoria dello sport, altri meno e tra questi l’Italia.
Inoltre, a causa della condanna della memoria che ha colpito un ventennio del nostro passato – censura che insieme ai vinti ha cancellato anche alcune delle più belle pagine dello sport che siano mai state scritte – imprese sportive straordinarie sono state dimenticate per sempre, come ad esempio i tre ori conquistati alle Olimpiadi di Amsterdam dalla squadra di pugilato; successo che venne ripetuto una sola volta nella storia: a Roma nel 1960.

D: Dove si concentra il fascino delle imprese sportive sostenute da Tamagnini?
R: Nel suo tempo; il periodo d’oro del pugilato mondiale. Tamagnini è ritenuto uno dei più grandi pugili italiani di tutti i tempi perché si è confrontato con fuoriclasse assoluti, alcuni dei quali hanno oggi l’onore di far parte della celebre “International Boxing Hall of Fame”, la lista americana che elenca i campioni leggendari.
Il successo alle Olimpiadi lo consacra come icona dello sport italiano; le splendide vittorie otte-nute da professionista lo identificano, per un certo periodo, come il legittimo pretendente al ti-tolo del mondo dei pesi piuma.
Dopo la netta vittoria ottenuta nel giugno del 1932 su Panama Al Brown – ritenuto da molti il miglior peso gallo mai esistito – Tamagnini diventa il personaggio sportivo più famoso d’Italia; merito che solo l’anno dopo verrà attribuito a Carnera, vincitore del primo titolo del mondo di pugilato.
Eppure, nonostante la fama che lo accompagnerà per il resto della sua vita, egli restò sempre un uomo schivo, riservato, semplice e modesto. Un atleta che ha inciso per sempre il suo nome a caratteri indelebili nella storia del pugilato italiano.

D: Cosa comunica il tuo libro in termini di valori sportivi?
R: Il gusto per la competizione, la sicurezza nel confronto, il coraggio della sfida, il rispetto del-le regole, della disciplina, dell’avversario.
Oggi la boxe vive un tristissimo declino per cause così abiette che è meglio non descrivere. A ciò si aggiunge una profonda crisi di vocazione, nei confronti dei guantoni, tra i giovani che si avvicinano allo sport.
Tra i luoghi comuni più diffusi quando si parla di pugilato, purtroppo, c'è quello che fa coincidere questo sport e chi lo pratica con la violenza: sul ring e nella vita. L'equazione è ingiusta quanto sbagliata visto che nel mondo del pugilato sono passati campioni che, in fatto di lealtà nel gioco e rispetto dell'avversario, avrebbero molto da insegnare a tanti colleghi noti di altri sport mediaticamente ben più seguiti.
Il pugilato ha bisogno di un rilancio. Raccontare storie edificanti, come quella di Tamagnini, credo sia il sistema migliore per trasmettere e far comprendere quei valori sportivi che hanno sempre contraddistinto questa splendida disciplina sportiva, così elegante ed esemplare, nei suoi intenti, da meritarsi l’appellativo di “nobile arte”.

D: Quali sono i tuoi generi letterari preferiti?
R: Non ho delle preferenze così nette da stabilire una classifica.
Leggo di tutto, romanzi storici, biografie, letteratura sportiva, di viaggio, narrativa d’avventura, saggistica d’inchiesta.
Forse ho un debole per la narrativa storica, specialmente quella legata ai poemi epici: Odissea, Iliade, Eneide; opere che affascinano ancora dopo millenni.

D: Quando affronti la scrittura, ti ispiri a qualche narratore in particolare? Hai un autore o autrice che ti affascina di più?
R: Eduardo Arroyo non è uno scrittore, ma un pittore. Riferendosi al suo libro su Panama Al Brown – citato prima – l’artista madrileno disse: «Boxe e pittura sono la stessa cosa. Dovevo fare qualcosa perché Al Brown mi ossessionava e non riuscivo a dipingerlo. Così l’ho racconta-to.»
Il suo libro mi ha fulminato; credo di averlo letto una decina di volte. Descrive in maniera sor-prendente la “Belle Epoque” del pugilato. Per me è stato un punto di riferimento, un faro, una guida. Non sarei mai riuscito a scrivere il libro su Tamagnini se non avessi avuto la fortuna di essere accompagnato indietro nel tempo da un artista come Arroyo.
Norman Mailer, scrittore americano, autore del romanzo “La sfida” – incentrato sull’incontro del secolo tra Muhammad Alì e George Foreman, avvenuto nell’ottobre del 1974 – è un altro autore al quale mi sono ispirato. Amo il suo stile duro, asciutto, le similitudini e le metafore brillanti ed espressive, da grande esperto del ring quale lui era. Una potenza narrativa unica ed inimitabile.
E poi l’eterna Marguerite Yourcenar, un mito incrollabile. Vorrei avere la milionesima parte del-la sua straordinaria capacità di interpretare ed esprimere i sentimenti, gli impulsi e le emozioni umane.

D: Sarai con altri autori della Aster Academy al Salone del Libro di Torino, due parole sull’importanza di questo grande appuntamento editoriale.
R: Ancora non ci credo. Avevo timore di parlare in pubblico e ora mi ritrovo catapultato nel più importante evento europeo in campo editoriale. Sono soddisfatto ed emozionato. Sono soprattutto felice di partecipare alla manifestazione con alcuni miei amici e autori, contattati dal presidente della Aster Academy, Alessio Follieri, che ha creduto nelle nostre opere.
Spero di essere all’altezza della circostanza, così come spero di poter presto trovare un editore per il mio nuovo romanzo.

Ufficio stampa Aster Academy Int.