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ACCADDE OGGI, BERNASCONI-TAMAGNINI E GUAINELLA-PALERMO

10/04/2014 - 9.39.05

 

 

Stadio San Siro di Milano, 10 aprile 1932

di Alessandro Bisozzi

Michele era nato il 5 ottobre 1911 a San Marco Evangelista, in provincia di Caserta, da una famiglia di contadini. Aveva cominciato a lavorare nei campi giovanissimo e per questo era cresciuto sano e soprattutto forte, molto forte.
Michele Palermo restò sempre legato in maniera quasi morbosa alla sua terra, dalla quale non si staccava mai volentieri. Ma dovette farlo spessissimo durante la sua vita, perché lui era un pugile, un pugile professionista.
Fu allievo del grande Bruno Frattini, "Cuor di Leone", il milanese ex campione d'Europa dei pesi medi nel 1924. Era così affezionato al suo maestro che ne assunse il cognome per il suo nome d'arte. Michele, infatti, era meglio conosciuto come Kid Frattini.
Esordì nel professionismo a vent'anni e nel 1933 diventò campione d'Italia dei pesi welter, o medio-leggeri come si chiamavano allora.
Palermo si recò negli Stati Uniti in due occasioni, rimanendovi per un totale di due anni e confrontandosi con i migliori elementi della boxe mondiale. Il forte contadino casertano sconfisse campioni del calibro di Al Dunbar, Frankie Bruno, Frankie Petrolle, Bobby Pacho e il fortissimo portoricano Cocoa Kid, uno dei migliori pesi welter e medi di ogni tempo.
Celebri le sue sfide con Vittorio Venturi e Carlo Orlandi col quale si batté per sei volte.
La sua nona vittoria nel campionato italiano dei pesi welter, nel 1950, coincise con la conquista della corona europea, titoli che appartenevano entrambi al bergamasco Livio Minelli.
Alla soglia del suo quarantesimo compleanno e a coronamento di una lunghissima carriera, dopo aver affrontato da Romolo Parboni a Italo Scortichini, il passato e il futuro della boxe italiana, Michele Palermo si laureò finalmente campione d'Europa.
 
Alberto Guainella, nato nel 1908, era un forte pugile di Civitavecchia che aveva cominciato la sua attività agonistica ancora giovanissimo. Allievo di Romolo Parboni, che proprio a Civitavecchia aveva avviato una delle prime vere palestre di boxe, Alberto diventò un professionista subito dopo essersi congedato dal servizio militare.
Fisico robusto e buona altezza lo resero idoneo ad affrontare, senza alcuna remora, pesi medi e perfino dei medio-massimi negli ultimi anni della carriera.
Durante il servizio di leva in marina, svolto per buona parte a Tientsin in Cina, egli aveva anche trovato il modo di partecipare ad un torneo riservato ai militari delle truppe di occupazione.
In quel torneo, svolto al Town Hall di Shanghai, arrivò sorprendentemente in finale, dove batté, con un sonoro ko, il pugile americano Eddy Calloway.
Il civitavecchiese aveva già fatto una buona gavetta quando fu deciso il suo incontro con Palermo.
Alberto, che da professionista assunse il nomignolo di Tony Campolo, era molto amico di Vittorio Tamagnini, il campione delle Olimpiadi di Amsterdam, col quale si allenava spesso a Civitavecchia.
I due avevano cominciato la carriera quasi in contemporanea e a dire il vero fu proprio Guainella, poco più vecchio, che spinse Vittorio ad indossare i guanti.
Grandissimi amici, essi viaggiavano e combattevano spesso nelle stesse riunioni, come quella volta che Tamagnini affrontò il campione europeo dei pesi gallo Domenico Bernasconi.
 
Bernasconi, nato a Carate Lario nel 1902, iniziò la sua carriera un po' tardi e in maniera del tutto casuale. Ognuno di noi ha un destino e Domenico trovò ad attendere il suo in una palestra di boxe di Milano, dove aveva accompagnato un amico.
Il comasco fece di tutto per recuperare il tempo perduto e due anni dopo conquistò il titolo italiano dei dilettanti.
Da quel momento in poi, la fama del terribile picchiatore, soprannominato "Pasqualino", si diffuse ovunque con rapidità.
Nel 1924 Bernasconi passò professionista e appena tre mesi dopo era già campione italiano dei pesi gallo. La caratteristica più temuta era il suo tremendo diretto destro, un colpo di una violenza inaudita che gli avversari temevano come la peste.
Al terzo tentativo, nel 1929, "Pasqualino" diventò campione d'Europa battendo il belga Nicolas Petit Biquet a Milano.
Nella sua breve ma intensa carriera professionistica, il comasco affrontò i migliori pugili del mondo, come Henri Scillie, Kid Socks, Juan Carlos Casala, Kid Francis e Panama Al Brown, solo per citarne alcuni.
Bernasconi era appena tornato in possesso del titolo d'Europa quando accettò la sfida di Vittorio Tamagnini, il giovane e agguerrito campione italiano dei pesi piuma.
Il civitavecchiese era arrivato a Milano accompagnato dal suo grande amico Alberto Guainella, il quale avrebbe dovuto vedersela con l'astro nascente Michele Palermo.
La città era tappezzata ovunque dai manifesti che preannunciavano la grande sfida. Bernasconi, "la Folgore", raffigurato con una saetta nella mano destra, affrontava "l'Elettrico", come era chiamato Tamagnini.
Un evento che, secondo le previsioni degli organizzatori, avrebbe richiamato un gran numero di persone. E fu per questo che l'incontro si tenne nello stadio di San Siro, il nuovo regalo alla città del presidente del Milan, Piero Pirelli.
Il pomeriggio del 10 aprile 1932, sotto un tiepido sole primaverile, Alberto Guainella sale sul ring e affronta Michele Palermo.
Il match tra i due potenti pesi welter lascia poco allo spettacolo. Incrociano i guanti due mestieranti che badano al concreto, senza sbavature e senza eccessi di sorta. La battaglia comunque è apertissima; il casertano è un demolitore instancabile che mette a dura prova la maggiore esperienza di Guainella, costretto per un po' a subire l'irruenza del più giovane avversario.
Le sole sei riprese previste potrebbero favorire l'attività frenetica di Palermo, ma alla lunga, la classe e la capacità di tenuta del civitavecchiese sono le qualità che fanno la differenza.
Straordinario incassatore, Guainella approfitta di un lieve calo del casertano e comincia a demolirne le difese con combinazioni al corpo sempre più forti. Verso la quinta ripresa, il vantaggio passa a suo favore e il "Kid" sembra non essere più in grado di contrastare la potente controffensiva avversaria.
Il match si chiude con un lieve vantaggio di punti a favore di "Campolo", il quale ha sfoderato una delle sue migliori prestazioni contro un pugile ancora un po' acerbo ma dall'indubbio talento, come poi dimostrerà nel seguito della sua straordinaria carriera.
Quello che seguì fu uno dei più intensi combattimenti che Milano avesse mai visto prima.
Si confrontano due tra i migliori pugili del continente: l'esperienza di un fortissimo campione d'Europa contro il giovane dinamismo del campione d'Italia. Una sfida ai massimi livelli a cui assistono circa diecimila persone.
Tamagnini deve stare molto attento al destro dell'avversario, un'arma micidiale che può chiudere la partita in una frazione di secondo. Avanza prudente, con gli occhi sempre puntati a quella folgorante minaccia, azzarda qualche tiro di aggiustamento, finta degli assalti per verificare i tempi di risposta, cerca il contatto col jab sinistro; tutto sotto lo sguardo sornione di Bernasconi che aspetta l'occasione giusta per sganciare la poderosa molla del suo pugno al fulmicotone.
Tamagnini è mobilissimo, le sue gambe lavorano a ritmi convulsi, si sposta avanti, indietro, di lato, poi schiva e nello stesso tempo rientra e colpisce con precisione; la cosa più sorprendente è come riesca a sfruttare il movimento dello scarto per acquistare potenza e poi trasmetterla al pugno, un gesto atletico rapidissimo che riesce difficile perfino da seguire.
Bernasconi è concentrato al massimo nel tentativo di prevedere e intercettare i veloci spostamenti del civitavecchiese, ma a nulla valgono i suoi sforzi perché Vittorio è imprendibile, sfuggente come un'anguilla. Le sue schivate rasoterra mandano a vuoto ogni manovra del comasco, colpito a più riprese dai nervosi doppietti di risposta del campione olimpionico.
Dopo la quinta ripresa, "Pasqualino"si rende conto che continuare ad inseguire un bersaglio così rapido per abbatterlo con una cannonata è un'inutile perdita di tempo. Meglio alleggerire l'artiglieria e provare ad incassare il maggior numero di punti con colpi meno efficaci ma più redditizi dal punto di vista del risultato.
Un sensibile cambio di strategia, una variazione che rivela un segnale di debolezza agli occhi attenti di Tamagnini, che in quello spiraglio infila il massimo delle energie. E allora intensifica le azioni, si fa insidioso ed entra sempre più deciso nella difesa dell'avversario, colpisce diverse volte al viso con assalti agili, d'istinto, con perfetta scelta di tempo delle combinazioni sinistro destro e delle successive ritirate.
La strategia funziona, le sue fenomenali qualità di pugile estroso e versatile stanno dominando un confronto che sulla carta appariva difficilissimo per lui. Tamagnini è in evidente vantaggio.
Bernasconi appare nervoso; ha accettato una tattica non congeniale alle sue caratteristiche di spietato "finisseur" e non è riuscito a condurre il match come avrebbe voluto. Nelle ultime due riprese tenta disperatamente di chiudere prima del limite, spara parecchie bordate col destro che Vittorio riesce ad aggirare con brillante lucidità.
Il civitavecchiese schiva tutto... o quasi. Allo scadere del tempo, infatti, inebriato dall'evidente vantaggio, commette una leggerezza imperdonabile: allenta la tensione dei nervi.
È un attimo. Quanto basta per essere centrato da un potente destro alla mascella.
Un colpo micidiale se non fosse stato appena attenuato da una lieve schivata.
Tamagnini barcolla all'indietro, finisce sulle corde con le braccia abbassate, si sposta di lato nel tentativo di prendere tempo e recuperare, ma appare incapace di reagire.
Bernasconi lo insegue brandendo il destro per il colpo di grazia, ma per fortuna il suono del gong lo blocca e Vittorio vince il confronto.
Sarebbe bastato un lieve ritardo del cronometrista per trasformare un magnifico successo in una disfatta. È andata bene.
Il campione italiano meritava pienamente la vittoria. Un'affermazione che lo consacrò tra i grandi boxers del continente.
 
Alessandro Bisozzi