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I PRIMI DIECI MEDIOMASSIMI ITALIANI

 

Esclusiva classificazione di Pietro Anselmi

Grazie all’appassionata ricerca dell’amico Pietro Anselmi l’ambizione annoverata da sportenote di pubblicare la catalogazione dei primi dieci ex pugili professionisti italiani di ciascuna categoria di peso continua con la divisione dei mediomassimi.
La sua scrupolosa investigazione tra gli innumerevoli italiani che hanno riempito la categoria dei mediomassimi, unitamente alla sua abilità narrativa, diventa conoscenza della parte migliore della divisione di peso trattata in questa puntata.
Ecco la terza "sfornata". Con un click sul nome di ciascun pugile si accede al record. Buona lettura.

 

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Quella dei pesi mediomassimi è una bella categoria, zeppa di campioni di varie epoche, di difficile lettura. Questa divisione di peso mostra come non ci sono state epoche con grossi nomi ed altre con atleti di scarso valore: tutte le stagioni hanno espresso eccellenze che meritano di essere considerate nello stilare la classifica di merito.

Al primo posto pongo Giulio Rinaldi da Anzio, assoluto protagonista di quel periodo. Pugile tenace, forte e battagliero al punto giusto. Se non il migliore stilisticamente lo è stato di sicuro come personaggio. A Roma il pubblico accorreva numeroso e le sue esibizioni, anche contro avversari di poco calibro, assicuravano in ogni caso lo spettacolo. Dopo aver conseguito il titolo di campione d’Italia battendo il forte Santo Amonti rivolgeva le sue attenzioni al campo internazionale. Le vittorie su Leen Jansen, Germinal Ballarin, Donnie Fleeman, Johnny Halafihi ed Archie Moore gli procurarono il match, titolo mondiale in palio, versione NYSAC, contro lo stesso Moore, soprannominato “vecchia mangusta”. Il combattimento disputatosi al mitico Madison Square Garden di New York lo vide protagonista, ma la maggiore freschezza e vitalità dell’italiano, nulla poterono contro la grande esperienza  del’americano all’altezza delle sue migliori giornate. A Rinaldi rimase il campo europeo. Dal 1962 al 1966 fu grande protagonista nel vecchio continente. Conquistava la corona contro lo scozzese Chic Calderwood e dopo aver respinto un grande Erich Shoeppner, Gustav Scholz gli toglieva i titolo con un dubbio verdetto di squalifica. Rinaldi sapeva riconquistare la cintura continentale contro Peter Gumpert a Roma. Piero Del Papa lo spodestava definitivamente. Ma il vecchio leone, dopo dieci anni sapeva riconquistare il titolo italiano. A 35 anni si ritirava dall’attività.

Il secondo gradino lo destino a Piero Del Papa. Nella sua lunga carriera può vantarsi di aver sostenuto ben 18 combattimenti titolati a vari livelli. Il “gallaccio” pisano, nomignolo che ben configura il suo personale stile di combattimento, sempre addosso all’avversario, abile nel non lasciargli spazio e togliergli il tempo di replicare. Non aveva pugno folgorante, non era elegante ma continuo e veloce. La sua maggiore  prerogativa era che sapeva adattarsi con tutti  mostrandosi mediocre con i mediocri, grande con i grandi. Campione italiano della categoria difendeva il titolo cinque volte prima di perderlo contro Benito Michelon. Fu questa la su prima sconfitta da professionista. Subito dopo la sua carriera ebbe una svolta decisiva: gli incontri con grandi avversari come Pekka Kokkonen, Eddie Cotton e Mauro Mina, uomini da classifica mondiale, lo lanciarono nel grande giro e la vittoria su Giulio Rinaldi fu la conseguenza di una raggiunta maturità. Il suo cammino in Europa ne suggella il posto che gli ho assegnato in questa graduatoria. Dopo Rinaldi respinse Chic Calderwood, Willy Von Homburg a Berlino e Pekka Kokkonen ad Helsinki. Dopo Vittorio Saraudi perdeva la corona a Francoforte contro Lothar Stengel. A Copenaghen falliva un primo tentativo di riconquista che gli riusciva a Milano contro lo slavo Ivan Preberg. Ancora a Francoforte respingeva Rudiger Schmidtke e a Berlino era la volta di Horst Benedens di inchinarsi alla sua superiorità. Ma ormai agli sgoccioli di una pesante carriera il non trascendentale Conny Velensek gli sottraeva la cintura. Solo a fine carriera gli arrivava la chance mondiale contro il venezuelano Vicente Rondon che, a Caracas, per il titolo versione WBA, lo colpiva a freddo nel primo round senza dargli appello.

La terza postazione le dedico a Silvio Branco. Il civitavecchiese è stato  protagonista in quattro diverse categorie sempre ad alto livello, ma il suo periodo migliore è stato quello tra i mediomassimi. In 25 anni di carriera e 77 match disputati ha messo in bacheca molti titoli. Perso il mondiale IBF dei supermedi si rivolgeva immediatamente alla categoria superiore con il campionato internazionale IBF dei mediomassimi, ma Sitipe Drews gli negava la conquista del titolo europeo. La sconfitta con il croato convinceva gli organizzatori di Marsiglia che lo ingaggiarono per una difesa di comodo del loro campione del Mondo WBA Mehdi Sahnoune. Branco a trentasette anni stupiva tutti con una travolgente vittoria. Perdeva subito dopo il titolo contro l’altro francese Fabrice Tiozzo in un match, che ci dicono le cronache, avrebbe potuto meritare di mantenere la corona con un verdetto di parità. Per non smentire il suo cammino altalenante falliva ancora una volta la conquista dell’Europeo contro il tedesco Thomas Ulrich. Ma la WBA gli concedeva un’altra occasione con la disputa del mondiale interim, vinta contro Manny Siaca. Era poi il suo vecchio rivale Stipe Drews a superarlo ad Oberhausen. Saltabeccando da un ente all’altro Silvio Branco volava a Montreal dove il campione del Mondo WBC Jean Pascal gli infliggeva una delle poche sconfitte in carriera. Sarebbe stato il momento giusto di ritirarsi ma decideva di continuare tra i massimi leggeri.

Il quarto posto spetta a Preciso Merlo. Atleta tosto e volitivo, dotato di grandi mezzi fisici, eccelleva in tutti i campi sul ring e non mancava di temperamento. Con la sua buona tecnica difensiva sapeva trasformarsi al momento giusto in attaccante con pugno forte anche se non fulminante. Nato in Germania da genitori italiani  si trasferiva a Torino con la famiglia dove iniziava la pratica pugilistica. Dopo breve percorso dilettantistico abbracciava il professionismo e al ventesimo match a Torino, battendo con un verdetto molto controverso il civitavecchiese Carlo Saraudi, metteva la corona di campione italiano. Seppe in seguito cancellare ogni dubbio sul suo valore difendendo il titolo contro il varesino Emilio Bernasconi. Lo perse a tavolino per non averlo difeso contro lo sfidante Ubaldo Primo. In seguito falliva un primo tentativo di riconquista contro Domenico Ceccarelli a Roma, tentativo che aveva successo quattro mesi dopo a Torino contro lo stesso forte avversario. Nel frattempo le sue quotazioni crescevano specialmente all’estero e venne prescelto a contendere il vacante titolo europeo al tedesco Adoph Witt. A Monaco di Baviera al termine di un confronto esaltante condotto con estrema intelligenza coglieva una prestigiosa vittoria. A quei tempi non era facile vincere all’estero e Merlo se ne accorse subito alla prima difesa del titolo a Vienna contro Heinz Lazek. Nella capitale austriaca, a quei tempi famosa in campo pugilistico per la imperante faziosità locale, successe che il nostro campione innervosito dai continui richiami di un arbitro prevenuto, al tredicesimo round, quando era nettamente in vantaggio, rifilava un calcione negli stinchi al direttore di gara e veniva squalificato. Dopo un certo periodo di sbandamento con una disastrosa tournèe in Australia seppe riprendere la forma migliore tanto da essere scelto come sfidante del fuoriclasse belga Gusta Roth per il titolo europeo e IBU mondiale perso con grande dignità. Si batteva altre due volte, sempre a Berlino contro Adolf Heuser per la corona continentale prima di rassegnarsi al cambio di categoria. Dopo aver vinto e perso il campionato italiano dei pesi massimi si ritirava dall’attività. Fu un grande della categoria oltre i risultati ottenuti.

La quinta posizione la riservo a Michele Bonaglia. Piemontese nato a Druento, a pochi passi da Torino, era soprannominato lo "spaccapietre", il "rullo compressore" o l’uomo dalle quattro riprese, a voler significare che in questo lasso di tempo pochi potevano resistergli. Appellativi che possono dare un’idea sul suo modo di combattere. A vederlo in allenamento non suscitava alcuna emozione data la sua scarsa predilezione per la classica tecnica pugilistica, ma sul quadrato da combattimento si trasformava, diventava irresistibile, perché la lotta era il suo terreno preferito. Dopo breve parentesi dilettantistica con il titolo di campione d’Italia passava al professionismo inanellando una lunga serie di vittorie che lo portarono a vincere 2 volte il titolo italiano. Era tra i migliori mediomassimi del vecchio continente e venne designato a battersi per l’Europeo con il giovane Max Schmeling. Era naturalmente il favorito della vigilia, ma a Berlino, davanti ad una folla enorme,  veniva fulminato dal gancio sinistro del tedesco, fino a quel momento sconosciuto ai più. Questi aveva mostrato in anteprima le grandi virtù che lo avrebbero portato al titolo mondiale dei pesi massimi.  Ma il rude piemontese non si scoraggiò di questo primo insuccesso ed esattamente un anno dopo, a Milano, entrava in possesso della corona continentale dopo aspra battaglia sostenuta con il belga Jack Etienne, superato anche nella rivincita che si disputò a Torino. Tra i due confronti trovava il modo di schiantare in quattro riprese il forte tedesco Hein Muller. Nel Settembre del 1930, con decisione molto controversa, l’IBU lo spodestava per non essersi accordato in tempo per una difesa ufficiale. Iniziava così la parabola discendente del suo cammino e dopo una disastrosa campagna in America saliva nella massima categoria dove per due volte veniva respinto dal campione in carica Innocente Baiguera. Nel 1932 riconquistava il titolo dei mediomassimi con una facile vittoria su Ubaldo Primo, titolo che tre mesi dopo Emilio Bernasconi gli toglieva bruscamente.

Lo scranno numero sei va a Luigi Musina. Fu un grande che ha saputo caratterizzare un’epoca soprattutto da dilettante. Capitano e colonna della squadra nazionale disputava 16 combattimenti con una sola sconfitta. Conseguiva grandi affermazioni come la conquista del campionato italiano nel 1935 e 1936, campione d’Europa nel 1937 a Milano e a Dublino nel 1939. A Chicago nel 1937 e 1939 conquistava il Guanto d’Oro, classica competizione che vedeva i migliori pugili europei confrontarsi con gli americani. Pugile completo, intelligente, tecnicamente di primo ordine e di grande classe faceva presagire un cammino tra i professionisti di grande levatura. Fu sicuramente ostacolato in campo europeo dallo scoppio della seconda guerra mondiale. Dovette perciò accontentarsi di un cammino in campo nazionale a cavallo delle due massime categorie. Dapprima conquistava il titolo italiano dei pesi massimi, quindi con una grande prestazione a Berlino battendo il tedesco Richard Vogt carpiva il vacante titolo europeo dei pesi mediomassimi sotto l’egida dell’APPE, l’organizzazione che controllava il pugilato in quegli anni ma che aveva come affiliati solo la Germania, l’Italia, L’Austria e la Romania. Quando nel 1946 fu ricostituito l’EBU il titolo gli venne tolto. Sicuramente in tempi normali avrebbe potuto fare di più. Dopo aver rivinto e perso il campionato italiano dei pesi massimi demotivato abbandonava l’attività.

Al settimo posto posiziono Aldo Traversaro. Professionista a 22 anni dimostrava subito grande attitudine alle battaglie sul ring dove poteva mettere a frutto la sua potenza di pugno. Ben guidato, graduava i suoi impegni senza fare il passo più lungo della gamba. Una lenta ma costante crescita lo portarono a difendere la corona conquistata contro Domenico Adinolfi, per ben nove volte. Un cammino che  i pugili di oggi dovrebbero prendere ad esempio, anche perché i battuti di allora oggi saprebbero fare collezione di titoletti che vanno molto di moda in questi tempi. Un suo primo assalto alla corona europea veniva frustrato dalla grande abilità di Mate Parlov, L’anno successivo, dopo un magnifico combattimento stroncava l’inglese BunnyJohnson. Da campione d’Europa otteneva un pareggio a Rotterdam contro l’idolo di casa Rudy Koopmans, una agevole vittoria a Ginevra sul locale Francisco Fiol e un successivo risultato nullo contro l’argentino naturalizzato spagnolo Avenamar Peralta. Questi risultati gli valsero un match per il titolo mondiale WBA contro l’oriundo Mike Rossmann. La sfida, disputata a Filadelfia, finiva alla sesta ripresa per ferita di Traversaro quando il combattimento era ancora aperto ad ogni soluzione. L’anno dopo a Rotterdam in rivincita con Rudy Koopman, sempre per ferita, lasciava il titolo europeo e si ritirava dalle battaglie del ring.

Per l’ottava collocazione individuo Domenico Adinolfi. Fu pugile estroso con quel tocco di genio e sregolatezza che caratterizza i campioni. Seppe farsi valere nelle due massime categorie ma fu tra i mediomassimi che raccolse quanto il suo valore gli poteva dare. Dapprima il titolo nazionale conquistato dopo solo otto combattimenti battendo Giulio Rinaldi. Fu una fase concitata del suo cammino questo periodo da campione d’Italia in quanto spesso questi match finivano dando vita a polemiche varie. Giunto al titolo troppo presto, mancava di esperienza. Dopo aver perso e rivinto e riperso il titolo si rivolgeva all’Europa e cominciava la parte migliore della sua attività. Una perentoria vittoria prima del limite su Karl Heinz Klein lo eleggeva quale miglior mediomassimo d’Europa. In successione respingeva Freddy De Kerpel, Rudy Lubbers e Leo Kakolewicz prima  di lasciare lo scettro europeo al fuoriclasse slavo Mate Parlov. Il peso tiranno lo obbligava a salire di categoria dove s’impose in ben cinque combattimenti titolati prima di chiudere la carriera a Parigi con una onorevole sconfitta contro Lucien Rodriguez, titolo europeo in palio della massima divisione.

Sul nono scranno piazzo Yawe Davis. Debuttava al professionismo in Italia e ben presto si costruiva una solida fama di eccellente schermitore con pugno. La sua carriera, non facile, lo portava dalla natia Uganda a Genova, dove si era stabilito. La condizione di straniero lo costringeva a subire la dura legge dell’emigrante, affrontando duri combattimenti con i più forti in circolazione. Uomini come Rufino Angulo, Slobodan Kacar e Tom Collins fanno parte della storia del pugilato. Tra le tante vittorie arrivavano anche le sconfitte per mani di avversari di valore internazionale quali Guy Waters, Henry Mask e Frank Tate. Fortificato grazie all’esperienza, nonostante i risultati negativi, giungeva alla cittadinanza italiana a seguito di matrimonio. Otteneva la qualifica di co-sfidante al vacante campionato d’Europa con il britannico Crawford Ashley. Al salone delle Feste del casinò di Campione d’Italia avrebbe meritato la vittoria, ma un ingiusto pareggio lasciava il titolo vacante. Otto mesi dopo ritentava la scalata al titolo contro Eddy Smulders olandese tosto ma non imbattibile. Davis in non perfette condizioni psico-fisiche (aveva da poco perso la moglie in un tragico incidente stradale) veniva battuto e ancora una volta rimandato. Dopo un periodo di inattività con un solo combattimento in due anni, riprendeva con vigore conquistando meritatamente il titolo italiano contro Giovanni Nardiello e difeso vittoriosamente contro Mario Tonus e Massimiliano Saiani. Aveva 37 anni quando, conquistando il Titolo Internazionale WBC contro Pascal Warusfef e difeso meritatamente dagli assalti di Mohamed Benguesmia e Jose Roberto Coelho, si meritava la disputa della semifinale al titolo mondiale contro l’inglese Clinton Woods. Senza lo smalto dei tempi migliori non poteva che rimediare una sconfitta dopo una decorosa prestazione. Nel frattempo aveva conquistato quel titolo EBU lungamente inseguito ed entrare nel novero degli italiani campioni d’Europa. La vacante cintura gli arrivava contro l’inglese Neil Simpson e la replica continentale la realizzava nei confronti del francese Kamel Amrane. Raggiunto il massimo, capiva che era giunta l’ora di smettere. Si recava quindi a Schwerin in Germania e, in cambio di una buona borsa, consegnava il titolo al forte tedesco Thomas Ulrich.

Al decimo posto colloco Artenio Calzavara, soprannominato il "Minatore del Ring" perché in gioventù aveva lavorato nelle miniere del Belgio dove aveva iniziato a fare pugilato a livello dilettantistico. Rientrato in Italia, Calzavara preferiva stabilirsi a Varese per intraprendere la professione di pugile, cosa che non avrebbe potuto fare nel suo nativo comune di Camposampiero nel basso padovano. Forte fisicamente, ma dalla tecnica rudimentale, si affinava man mano che la sua carriera progrediva. Nominato sfidante al titolo italiano detenuto dallo stagionato Fernando Jannilli, non si lasciava sfuggire l’occasione. La vittoria gli dava maggior consapevolezza nei suoi mezzi e respingeva gli assalti di autorevoli avversari come Alessandro D’Ottavio,  Ivano  Fontana e Sergio Burchi. Il match per il titolo europeo gli venne offerto a Milano contro il forte, ma a fine carriera, Gerhard Hecht. Il confronto, accanito e molto equilibrato, lo vinse con un’ultima ripresa allo spasimo e per un solo punto di vantaggio. Con la vittoria Calzavara aveva raggiunto il massimo delle sue potenzialità. Dopo alcune sconfitte lasciava il titolo europeo nelle mani del tedesco Willy Hoepner nella città tedesca di Amburgo. In quel contesto si trovava battuto con un contestato verdetto di squalifica che lo avrebbe dovuto vedere vittorioso per abbandono.

Pietro Anselmi

 

 

 

 

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