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I PRIMI DIECI SUPERMEDI ITALIANI

 

Esclusiva classificazione di Pietro Anselmi

Continua la coinvolgente ricerca dell’amico Pietro Anselmi, in sintonia con l’offerta storiografica di sportenote, di offrire l’ambiziosa catalogazione dei primi dieci ex pugili professionisti italiani di ciascuna categoria di peso.
Questa volta la proposta riguarda la divisione dei supermedi.
L’accurato "scandaglio" impiegato da Pietro nelle pagine raccolte per anni, e  riguardanti i pugili che hanno militato nella categoria dei pesi supermedi, ci offre un quadro espositivo di grande luminosità.
Ecco la quarta "sfornata". Con un click sul nome di ciascun pugile si accede al record. Buona lettura.

 

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La categoria dei supermedi è una di quelle divisioni di peso aggiunte nel 1990 e che francamente non se ne sentiva la necessità.  Ma esiste  ed in poco più di trenta anni qualche campione lo ha espresso.

Al primo posto vedo Cristian Sanavia. Il padovano iniziava la sua avventura pugilistica tra i pesi medi, categoria a lui più congeniale vista la sua struttura fisica. L’ho preferito agli altri perché ha saputo ripetere nella categoria in esame quanto fatto di buono nella categoria inferiore dei pesi medi. Campione d’Italia e campione d'Europa ha un curriculum arricchito da titoli internazionali. Le sue caratteristiche strutturali lo portavano a praticare un pugilato tutto basato sulla corta distanza, dove poteva far valere le sue qualità di “puncher”. Il passaggio tra i supermedi coincideva con la perla che lo pone tra i grandi della categoria: la conquista del titolo mondiale Wbc conseguita in Germania contro il fuoriclasse tedesco Markus Beyer. Poco importa se nella rivincita abbia dovuto cedere quanto conquistato quattro mesi prima. Tre anni più tardi sul ring di Ajaccio in Corsica ritornava a cingere una corona europea dopo quella dei pesi medi, superando brillantemente il russo David Gogiya. Salvava il titolo una prima volta a Svizzera con un pareggio al cospetto di Danilo Haussler prima di perderlo definitivamente contro il tedesco Karo Murat in un doppio confronto in Germania. Ritentava un’ultima volta in Danimarca contro James De Gale, ma inutilmente. Dopo alcune vittorie minori a quasi quarant’anni si ritirava dall’attività.

La seconda posizione la riservo a Vincenzo Nardiello. Anche lui, come quasi  tutti i pugili che esamineremo in questa nuova rassegna, prima di approdare nella nuova categoria ha militato in altre divisioni di peso. Ma Vincenzo esordiva direttamente tra i supermedi. Nato a Stoccarda, in Germania, ma da sempre residente con la famiglia a Ostia, fin da dilettante metteva in mostra il suo talento pugilistico. Campione d’Italia a Pesaro nel 1984 tra i superleggeri, si ripeteva due anni dopo a Messina nei superwelter mentre nel 1987, a Bologna, trionfava come peso medio. Rimase famosa agli occhi del mondo la sua disperazione per lo scippo subito dai giudici che alle Olimpiadi di Seul gli tolsero una meritata medaglia d’oro. Nel suo palmares da professionista manca il titolo italiano della categoria ma fanno bella mostra le cinture europea e mondiale dei pesi supermedi. A volte la sfortuna, ma più spesso il suo comportamento strafottente e non consono ad un atleta del ring, hanno reso altalenante il suo cammino. Diciassette vittorie consecutive lo convincevano ad un combattimento per il mondiale Wba contro il panamense Victor Cordoba, sostenuto a Parigi, ma in quella occasione fu molto sfortunato. Si rifaceva con il titolo europeo battendo l’inglese Fidel Castro Smith "Slugger" O'Toole sul ring amico di Ariccia, anche se il confronto passerà alla storia per la sua pochezza spettacolare. A Campione d’Italia, enclave italiana in terra elvetica, la sfortuna sotto forma di una testata dell’avversario Raymond Close, non vista dall’arbitro, lo metteva fuori gara privandolo di quella corona che riconquistava nel "derby" di Marino con l’avversario di sempre Mauro Galvano, per riperderlo alla prima difesa a Mentone contro il modesto Frederic Sellier. Presentatosi in Francia in non perfette condizioni di forma pagava lo scotto alla sua leggerezza. A Londra veniva castigato da Nigel Benn per il mondiale Wbc mentre ad Halifax, in Inghilterra, nonostante le ottime condizioni fisiche veniva fermato dinanzi a Henry Warthon, titolo europeo in palio. Malauguratamente una ferita lo fermava al sesto round quando si trovava in netto vantaggio. Sei mesi dopo faceva suo il titolo mondiale Wbc superando il sudafricano Thulane Malinga dopo un combattimento condotto con intelligenza. Subito dopo, alla prima difesa, il trend negativo aveva il sopravvento. Nervoso per un taglio all’arcata sopraccigliare sinistra ed una microfrattura alla mano sinistra, interpretava male il combattimento con Robin Reed e gettandosi all’attacco finiva facile preda del potente avversario. Dopo le solite roboanti dichiarazioni su un suo ritorno in auge a Newcastle, ancora in Inghilterra, falliva miseramente l’occasione di ritornare sul trono Wbc al cospetto di Richie Woodhall.

Sullo scranno numero tre pongo Mauro Galvano. Giovanissimo si laureava campione d’Italia pesi medi tra i dilettanti a Pesaro nel 1984 e l’anno successivo tra i mediomassimi a Roseto degli Abruzzi. È in questa categoria che debutta tra i professionisti e dopo dieci vittorie ed un pareggio tentava la conquista del titolo  italiano ma veniva respinto dal campione in carica Mwheu Beya. Nel frattempo veniva istituita la nuova categoria dei supermedi e Galvano otteneva la qualifica di co-sfidante al titolo inaugurale con l’inglese Mark Taylor. La vittoria gli consentiva di battersi per il vacante titolo mondiale Wbc. Lasciava la corona europea per il titolo iridato battendo il non eccelso argentino Dario Matteoni. Seguivano le difese  contro l’americano Ronnie Essett e il paraguaiano Juan Carlos Gimenez, fino a che l’inglese Nigel Benn metteva fine alla sua bella avventura a Marino nel 1992. Quattro  successivi tentativi di ritornare sul tetto d’Europa fallivano tutti e sempre per la corona vacante: a Marino contro Vincenzo Nardiello, a York al cospetto dell’inglese Henry Warton, a Hyeres con il francese Frederic Sellier e a Mazara del Vallo dinanzi al russo Andrej  Shkalikov.

Al quarto posto colloco Mwehu Beya. Nato a Kongolo nello Zaire, approda in Italia e si stabilisce a Quarto di Genova. Peso mediomassimo all’origine risente della precarietà dell’emigrante e rimedia sconfitte contro uomini di alto valore internazionale come Slobodan Kacar, Rufino Angulo (superato in precedenza), Thulane Malinga e Alex  Blanchard. Riesce a conquistare il titolo italiano ed ottenere una chance per il titolo mondiale Ibf contro l’ottimo statunitense Charlie Williams, subendo una decorosa sconfitta ai punti. Abbandonava quindi i mediomassimi e scendeva tra i supermedi, categoria congeniale alle sue caratteristiche di esile ed elegante pugile tecnico. Faceva subito suo il simbolo del primato italiano battendo Luciano Caioni. Replicava la sua superiorità nei confronti di Massimiliano Bocchini, due volte, Pietro Pellizzaro e Renato Mastria. L’età avanzata per un pugile, aveva 38 anni, influivano nel prosieguo della carriera: dopo la sconfitta contro il grande Dariusz Michalczewki e il passaggio di consegne del tricolore a favore di quel Bocchini da lui battuto in precedenza, gli consigliavano di lasciare l’attività agonistica.

La posizione numero cinque l’assegno a Mouhamed Ali Ndiaye. Un predestinato che non ha saputo mantenere le promesse. Domiciliato a Pontedera fu campione  italiano pesi medi dilettanti a Maddaloni nel 2004. Gran fisico accompagnato da una eccellente tecnica lasciava presagire un grande cammino tra i professionisti con la subitanea conquista del titolo internazionale Ibf supermedi contro Sergey  Demchenko, corona che ha mantenuto successivamente contro Sergey Khomitsky e Sergey Khravcenko, pugili di buona levatura tecnica. In seguito, la mancata conquista della cintura dell’Unione Europea contro Lolenga Mock, ne ridimensionava la sua statura tecnica. In seguito conquistava la corona italiana battendo Roberto Cocco, titolo che subito abbandonava e conquistava finalmente quello dell’Unione Europea superando Andrea Di Luisa; successivamente ha respinto lo spagnolo Jose Maria Guerrero in difesa di quella cintura. Il titolo europeo della categoria era alla sua portata ma la legge del ring ha disposto diversamente. Un primo confronto con il francese Christophe Rebrasse, a titolo vacante, finiva in parità. Il fatto sembrava benaugurante per una vittoria nella rivincita, ma uno svogliato Alì si faceva irretire dalla boxe non trascendentale del francese e la sfida si concludeva sfavorevolmente in poche riprese. A seguito della successiva sconfitta contro Giovanni De Carolis per il titolo internazionale Ibf chiudeva la carriera dopo soli confronti.

Al sesto posto ordino Vincenzo Imparato. Buon dilettante trovava nel professionismi quelle soddisfazioni che avrebbe meritato dopo un travagliato inizio di carriera come peso medio. Vinceva il vacante campionato italiano con una franca vittoria su Stefano Pompilio. Alla prima difesa del titolo accadeva l’episodio tragico che poteva fargli chiudere la carriera appena iniziata. La morte sul ring del suo amico e competitore Fabrizio De Chiara lo scosse al punto da risentirne nel prosieguo della carriera. Contro Santo Colomo metteva in palio il tricolore a Vigevano, ed il match scorreva fino all’undicesimo round con un chiaro vantaggio del pugile di casa. Colpito d’incontro dall’avversario dopo essere stato contato, si ebbe subito la percezione di un suo crollo psicologico più che fisico. Perdeva la corona e finiva il suo cammino tra i pesi medi. Riprendeva con vigore l’attività tra i supermedi e dopo due anni si laureava campione anche in questa categoria. Fu protagonista in ben undici combattimenti per il titolo che perdeva e riconquistava più volte fino al definitivo ultimo scontro contro l’emergente Luca Tassi. Durante quel periodo ebbe modo di cimentarsi per il titolo europeo a Colonia dove con un pizzico di determinazione in più avrebbe anche potuto contro il titolare Danilo Haussler.

Lo scranno numero sette l’attribuisco ad Andrea Di Luisa. Potente picchiatore napoletano d’origine, ma pugilisticamente viterbese, dopo un buon cammino dilettantistico a 26 anni debuttava al professionismo mettendo in luce la sua principale peculiarità, quella di saper risolvere prima del limite i suoi combattimenti. Dopo sette successi alla maniera forte il campionato italiano non gli sfuggiva umiliando Roberto Cocco (pugile non abituato a questi trattamenti) con un perentorio fuori combattimento tecnico alla prima ripresa. Giuseppe Brischetto subiva la stessa sorte così come Luciano Lombardi, entrambi affrontati in difesa del titolo nazionale. Subiva la prima sconfitta da Mouhamed Ali Ndiaye per il titolo dell’Unione Europea  ed una seconda da Christophe Rebrasse. Come succede a tutti i picchiatori che non riescono a vincere sbrigativamente, subisce una specie di abulia e la sconfitta a Montreal contro Lucian Bute e a Londra contro Georges Grove lo allontanano dalla scena internazionale. Archiviava ancora due prove positive prima di chiudere la carriera dopo soli 24 combattimenti.

L’ottavo posto l’assegno a Luca Tassi. Membro di una conosciuta famiglia pugilistica toscana con il padre Luigi ed il fratello Davide, con la canottiera è  campione italiano a Pisa nel 2000 nei pesi superwelter. Professionista a 25 anni, dopo sette combattimenti conquista il vacante titolo dei supermedi vincendo su Emanuel Zuanel. Dopo due successive vittoriose difese contro Vincenzo Imparato e Antonio Di Feto, abbandonava il titolo e conquistava una meno importante cintura Ibf internazionale superando Vigan Mustafa, kossovaro di Firenze. Autore di una saltuaria attività chiude la carriera dopo la sconfitta contro Emanuele Blandamura per il titolo internazionale Wbc nella categoria inferiore dei pesi medi.

La nona postazione la riservo ad Alberto Colajanni. Buon tecnico dal fisico adatto alla boxe di rimessa, lasciava poco spazio alla spettacolarità nei suoi combattimenti, limitandosi ad un controllo assiduo dell’avversario senza correre rischi. Alla sua undicesima fatica detronizzava Vincenzo Imparato e data la scarsità di elementi si limitava ad una attività nazionale respingendo Alessandro Filippo due volte, e ancora Imparato, desideroso di riprendersi quanto perso in precedenza. Con un verdetto casalingo manteneva il titolo e in seguito conquistava quello internazionale  Ibf contro il francese Pierre  Moreno. In seguito a Berlino contendeva, si fa per dire, il campionato mondiale Wbc al tedesco Markus Beyer, che lo aveva scelto per una facile difesa volontaria. Lo scopo dell’italiano era quello di giungere indenne al termine del match, ma  proprio all’ultimo istante  il tedesco trovava il colpo risolutore togliendo al nostro la soddisfazione di terminare in piedi il combattimento. E’ stata questa  la sua ultima fatica. Lasciava la boxe dopo solo 18 vittorie ed una sola sconfitta.

Alla decima posizione vedo Antonio Brancalion. Il rodigino disputava metà carriera tra i supermedi e l’altra metà tra i mediomassimi, dove otteneva maggiori consensi. Pugile dal carattere instabile e troppo emotivo, cedeva il passo ad un atleta conscio delle sue possibilità. Vinceva il titolo italiano, internazionale Ibf e dell’Unione Europea, disputava, pur perdendo, un grande combattimento per la corona continentale contro un grande Stipe Drews. Tra i supermedi, categoria che interessa in questo contesto, può vantare il solo titolo italiano vinto contro il modesto Alessandro Filippo e subito perso contro quella che si può definire la sua bestia nera ovvero Vincenzo Imparato. Questi in precedenza lo aveva bocciato due volte sempre titolo italiano in palio.

Pietro Anselmi

 

 

 

 

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