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I PRIMI DIECI PESI WELTER ITALIANI

 

Esclusiva classificazione di Pietro Anselmi

La collaborazione tra sportenote e lo storico Pietro Anselmi sul tema delle classificazioni è giunta alla settima puntata. Pure in questa circostanza la scrupolosa investigazione condotta da Pietro Anselmi, per considerare minutamente la carriera degli ex pugili professionisti italiani. ha toccato la categoria dei pesi welter. Anche per detta divisione di peso ha individuato i primi dieci da catalogare e, grazie finanche alla sua abilità narrativa, la citazione dei nomi inclusi nella lista diventa materia di conoscenza e motivo di analisi.
Ecco la settima "sfornata". Con un click sul nome di ciascun pugile si accede al record. Buona lettura.

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Anche questa categoria mi obbliga a scelte riguardanti pugili che hanno militato in divisioni contigue e che dato il loro valore avrebbero potuto ottenere una doppia classificazione. Avendo un solo campione del mondo gli europei saranno la base per una corretta classificazione. Ribadisco, infine, che campioni meritevoli di prendere posto tra i dieci pesi welter sono stati collocati diversamente. Cito per correttezza  Mario Bosisio tra i pesi medi, Duilio Loi nei pesi leggeri, Gianfranco Rosi entro i superwelter e Patrizio Oliva tra i superleggeri.

Al primo posto pongo Michele Palermo. Passerà alla storia per la passione con cui praticava la boxe, sorretto da uno spirito combattivo e da un carattere indomito difficilmente riscontrabile in altri atleti. La sua presenza, sempre nella stessa categoria ne caratterizzerà per quasi venti anni la storia. Battuto, caparbio, si prendeva la rivincita e per ben cinque volte riconquistava il titolo italiano e, a fine carriera, sorprese tutti carpendo la corona di campione d’Europa al più giovane Livio Minelli. Quattro lustri di battaglie sui quadrati senza il patetico trascinarsi in cerca di borse è stato un grande merito alla sua professionalità, caratterizzazione che lo pone tra i grandi del pugilato italiano. Allievo di Bruno Frattini, ne mutuava il nome al passaggio tra i professionisti e si faceva conoscere come Kid Frattini, dimostrando subito una solidità di guerriero tanto da non subire mai l’onta del tappeto nell’arco dei suoi 136 combattimenti. Il suo primo impatto con il titolo italiano é stato negativo: venne battuto da un Vittorio Venturi sulla cresta dell’onda. Quando quest’ultimo, impegnato in Sud America venne detronizzato dalla Fpi “Michelone” fu prescelto con Luigi Bonetti a contendersi il titolo vacante. Con il cremonese vantava dei precedenti, non tutti favorevoli. Due pareggi ed una sconfitta non erano un buon viatico, ma sul ring del Teatro Acciarelli di Napoli, nell’occasione più importante, con una gara gagliarda per precisione e potenza superava il rivale. Durava poco questo spicchio di regno. Nell’ottobre del 1933, cinque mesi dopo, Vittorio Venturi lo spodestava con un verdetto molto risicato ma sufficiente a togliergli la corona. Si ricostruiva lo spirito effettuando una costruttiva trasferta negli Stati Uniti. Nonostante i successi all’improvviso e senza motivazioni valide lasciava l’America e nessuno mai seppe la vera ragione di tale decisione. Dopo molti mesi d’inattività riprendeva ad esibirsi in Italia con andamento altalenante. Rimetteva piede negli States ed otteneva un pregevole riconoscimento da “The Ring”, la prestigiosa rivista americana, che nel 1938 lo classificava al nono posto delle classifica mondiale. Nonostante l’importante collocazione a livello internazionale Palermo mostrava un altro episodio emblematico che non ha mai trovato risposta: fare ritorno in Patria senza toccare il traguardo più importante che un atleta possa desiderare. Nel giugno del 1938 la Fpi toglieva il titolo a Mario Bianchini che nel frattempo era diventato il nuovo detentore della corona italiana, e nominava co-sfidanti Michele Palermo e Saverio Turiello. Un ex campione d’Italia contro un ex campione d’Europa avrebbe dovuto essere un match al cardiopalmo, viste le caratteristiche dei due avversari. Viceversa passerà alla storia come la sconfitta di Turiello più che come vittoria di Palermo. Il Milanese, che era sicuramente tra i più forti pesi medio leggeri del continente, non aveva digerito la sconfitta con il grande Marcel Cerdan che un mese prima gli aveva tolto la corona europea dal capo. Turiello, abulico, svogliato e quasi spento non ha mai cercato di vincere. Agli attacchi del napoletano non provava mai e rispondere e la sua sconfitta divenne inevitabile. Nel dicembre di quell’anno Palermo decade nuovamente per non aver incontrato lo sfidante Dejana e la Fpi indiceva una semifinale al titolo tra lo stesso Palermo e Cleto Locatelli, grande peso leggero ma che come peso welter non aveva ancora dato segnali eccelsi. La vittoria del “Kid” gli permetteva finalmente di ritrovarsi di fronte a quel Vittorio Venturi che per ben due volte lo aveva castigato bocciato. Ne beneficiarono gli sportivi di Firenze che assistettero ad un grande combattimento. Il favorito, manco a dirlo, era Venturi, ma i 65,5 kg. accusati dal napoletano denunciarono subito la grande preparazione che aveva sostenuto. L’inizio guardingo del match lasciava intendere che la lotta divampasse improvvisa. Palermo assumeva l’iniziativa con un lavoro asfissiante che non lasciava spazio al rivale. Questi tentava di replicare nella seconda metà del combattimento sperando in un calo fisico della roccia di San Marco Evangelista, il quale, invece di cedere, intensificava la sua azione. Un’ultima ripresa da antologia pugilistica non bastarono a Venturi per ribaltare le sorti del combattimento. A questo punto della sua carriera Michele Palermo si trovava di fronte ad un grande pugile, Carlo Orlandi, che proveniva da un periodo sfortunato come peso leggero e che tra i pesi welter voleva ricostruirsi una carriera.. Il primo confronto tra i due avvenne a Roma e la vittoria di Orlandi fu criticata, mentre nella seconda occasione il milanese, nella sua città, rispolverando l’antico estro legittimava il possesso del titolo. Le vicende del campionato italiano portarono alla ribalta nazionale un altro pugile che fece sognare gli sportivi, Egisto Peyre, il “Bombardiere della Marca”, il quale tolse il titolo a Carlo Orlandi con un fulmineo fuori combattimento. Inevitabile fu il confronto tra i due che si incontrarono a Roma nel marzo del 1943. Davanti ad una folla strabocchevole che gremiva in ogni ordine di posti il Teatro Brancaccio, il duello tra il folgoratore ed il vecchio tetragono incassatore si risolveva con la meritata vittoria di quest’ultimo, autore di una prova maiuscola, capace di anticipare e mandare spesso a vuoto il giovane emergente che difettava di esperienza. Per la terza volta Michele Palermo riconquistava il titolo italiano e nessuno immaginava quanto sarebbe successo nel prosieguo della carriera del “Kid”. Aveva 32 anni ed un percorso pugilistico molto duro sulle spalle. Vacillava la corona di campione d’Italia sul suo capo quando, alla prima difesa allo Stadio del Partito di Roma, affrontava Domenico Di Stefano. Lento, stanco ed impreciso, quindi in pessime condizioni di forma, forse sottovalutando l’avversario, Michele Palermo salvava il titolo con l’esperienza ma anche per demerito dell’avversario che, dimostrando scarso mordente, perdeva una grande occasione. La momentanea “defaillances” del campione in carica, che denotava bisogno di riposo, gli impediva una nuova difesa ufficiale ed ancora una volta perdeva il titolo a tavolino. Egisto Peyre ed Amedeo Dejana vennero prescelti per la successione. Il combattimento tra i due si svolse in pieno periodo di guerra. Tra un allarme e l’altro, all’Arena di Milano vinse il favorito d’obbligo  Peyre , il quale  dopo aver subito la baldanza agonistica del sardo riusciva ad imporre la sua prorompente potenza. Sulla strada del “Bombardiere della Marca” si parava quindi l’incomparabile figura del “Cincinnato” di San Marco Evangelista che a 34 anni strappava applausi alla platea con una prestazione degna dei suoi tempi migliori, tanto da mettere in dubbio il successo finale attribuito a Peyre di strettissima misura. L’abbandono del titolo da parte di Egisto Peyre per tentare l’avventura europea riporta in prima fila l’immarcescibile Michele Palermo il quale, per la quarta volta, riconquisterà il simbolo del primato nazionale. Ma Fernando Jannilli, il suo competitore, che combatteva sul ring di casa, non era certo l’avversario per farlo ben figurare con il suo sgusciante modo di combattere. Il verdetto in  favore del campano venne accolto con disapprovazione dal pubblico presente. Gli alti e i bassi in un atleta stagionato sono all’ordine del giorno. Chiamato a Crema a respingere l’assalto dell’idolo locale Pino Facchi un verdetto di squalifica lo privava di nuovo del titolo. Fernando Jannilli fu il suo successore ma il suo interregno fu di breve durata per il suo passaggio alla categoria superiore. Così l’anziano Michele Palermo venne ripescato a contendere all’emergente milanese Carlo Mola lo scettro del vacante primato. Milano Ring organizzava l’avvenimento contando sul proprio pugile ma anche sull’età del campano. Nessuno se lo aspettava. Mola, come ipnotizzato  davanti  al  carisma del  macinatore partenopeo, ha dovuto lasciare il vacante titolo nelle mani sapienti di un campione intramontabile. Il competente pubblico milanese applaudiva con convinzione il vecchio leone che non aveva finito di stupire. Sette mesi più tardi toglieva a Livio Minelli il fregio europeo che coronava una carriera a dir poco strepitosa. Subito dopo lasciava il titolo appena conquistato in un angolo sperduto del Galles, a Camarthen, dove il gallese Eddie Thomas ottenne un successo di strettissima misura. Sfavorito anche dai disagi di una trasferta incomoda, con cinque giorni senza potersi allenare, un paio di libbre da smaltire ed un arbitro contrario, Palermo era costretto a lasciare il titolo oltremanica. Ma aveva ancora l’alloro italiano da difendere: a Roma Luigi Valentini è stato testimone della prima ed unica sconfitta prima del limite di quello che fu uno dei più grandi della categoria. Alla quinta ripresa il vecchio gigante alzava il braccio in segno di resa, battuto ma orgogliosamente in piedi.

Il secondo gradino lo assegno a Livio Minelli. Più che un welter era un superleggero ed ogni volta era costretto a regalare chili ai suoi avversari. Aveva l’estro e l’eleganza di un ballerino ma con un sinistro pungente. Dopo che una proficua attività in Spagna convinse il suo mentore di avere tra le mani un sicuro campione. Il suo peregrinare per il mondo non gli permise di diventare campione d’Italia, ma tra una campagna e l’altra negli USA,  conquistava la corona europea a l’Aja, in Olanda. Minelli si era costruito una solida fama con prestazioni sempre più convincenti, ma era costretto dai sistemi americani ad un’attività stressante e con avversari sempre più forti. Al ritmo di uno o due combattimenti al mese, fatalmente viene un momento di stanchezza per il pugile impegnato e questa sconfitta permetteva al sistema di eliminare gli uomini più pericolosi nella corsa verso il titolo mondiale. Così fu durante la sua prima campagna americana. Dopo aver battuto Bob Montgomery e Johnny Bratton (che furono campioni del mondo quando questi erano solo otto), gli fu opposto il pericolosissimo campione mondiale dei pesi leggeri Ike Williams che veniva dall’aver vinto prima del limite tutti gli incontri l’anno precendente. Livio disputava un grande combattimento ma cedette ai punti con lodevole prestazione. Tornava in Italia e dopo altre vittorie si laureava campione del vecchio continente. Alla Sala dello Zoo della città olandese, l’Aja, riduceva ad una maschera di sangue il suo competitore Giel De Roode, costretto ad arrendersi all’undicesimo round, con il bergamasco in chiaro vantaggio. Livio Minelli diventava il terzo italiano a cingere la corona di campione d’Europa dei pesi welter. Ma il suo capolavoro lo effettuava ad Algeri nel respingere l’assalto del franco-algerino Omar Kouidri. In trasferta, in un’atmosfera da incubo, nella quale i tifosi algerini stravedevano per il loro atleta e non c’erano telecamere a testificare quanto avveniva attorno al ring, Minelli si comportò con un’autorità tale, vincendo alla grande quasi tutte le riprese e rintuzzando con molto mestiere le scorrettezze del campione di Francia. Prima di ripartire di nuovo per l’America volle incontrare il “vecchio” Michele Palermo che a sua volta metteva in palio il titolo italiano. Al Velodromo Vigorelli, nella capitale lombarda organizzato da Milano Ring, sotto un cielo minaccioso di pioggia non fu una giornata felice per il bergamasco. A lui avevano nuociuto i sette mesi di riposo dopo il combattimento con Kouidri. Costretto a battersi a corta distanza subiva la possanza demolitrice del quarantenne gladiatore partenopeo. Dopo qualche tempo ripartiva per New York dove terminava la sua carriera ad alto livello. Ben sette furono alla fine i campioni del mondo da lui incontrati .

La terza postazione la dedico a Carmelo Bossi. Ha saputo entrare nel cuore dei tifosi milanesi malgrado un pugilato poco spettacolare, sparagnino, ma tutto teso al fine di un combattimento,  quello di vincere. Grande dilettante, fu campione d’Italia a Terni nel 1958 e medaglia d’argento agli Europei di Lucerna l’anno dopo. Fece parte dello squadrone italiano che nel 1960 trionfava alle Olimpiadi di Roma. Carmelo si aggiudicava la medaglia d’argento dopo un grande combattimento finale con l’americano McClure  Dotato di raffinata tecnica, il combattimento di rimessa era nelle sue prerogative ma non fu mai rinunciatario alla lotta. Al suo ventunesimo combattimento incontrava Domenico Tiberia per il campionato d’Italia pesi welter al Palazzo dello Sport di Napoli; di misura, ma con chiarezza, imponeva al ceccanese la sua classe. Tiberia era un pugile fatto su misura per Bossi: la sua predisposizione all’attacco favoriva lo stilista che eccelleva come incontrista. Così fu anche nella rivincita disputata ad Aprilia. Tiberia indietro nel punteggio si lanciava allo sbaraglio e veniva punito dai micidiali colpi d’incontro del campione in carica. Bossi quindi abbandona il titolo italiano dopo aver conquistato l’europeo. Jean Josselin, altezzoso campione di Francia era calato a Sanremo convinto di riportare in patria il titolo continentale ma si trovò di fronte un pugile di ghiaccio che non sprecava un colpo. Come il francese accennava ad un attacco, micidiali destri lo punivano duramente. Tre mesi dopo , “Melo” malmenava intensamente Johnny Cooke e concedeva la rivincita a Jean Josselin. A Roma, malgrado le prime difficoltà nel fare il peso, il milanese impartiva una seconda severa sconfitta al francese, dominato in lungo ed in largo. Ma la sfortuna lo aspettava a Lignano Sabbiadoro. Una difesa volontaria con il modesto nero delle Antille Olandesi, Edwin “Fighting” Mack gli doveva essere fatale. Dopo nove round condotti in scioltezza, a causa di un attimo di disattenzione non sapeva evitare un violentissimo destro dell’avversario. Rimaneva in piedi fino al suono del gong, ma non si rialzava dallo sgabello se non per correre all’ospedale. La mascella fratturata in tre punti lo costrinse ad un lungo periodo di riposo. Ritentava la conquista del titolo europeo che nel frattempo era passato nelle mani dell’austriaco Johann Orsolics. A Vienna un verdetto casalingo permetteva al detentore di mantenere la corona. Carmelo passava tra i medi junior ed il suo primo match nella nuova categoria fu quello valevole per il titolo mondiale nelle mani del “professore” Freddie Little così chiamato per la sua abilità tecnica. A Monza, davanti a dodicimila spettatori, il professore divenne l’allievo. Dopo aver gareggiato in bravura tecnica con l’avversario, Bossi, a poche riprese dalla fine, atterrava Little con un destro fulmineo quanto preciso. Da quel momento non dette tregua all’americano che dovette subire fino alla perdita del titolo. Salvava la corona mondiale a Madrid con  un pareggio molto casalingo contro José Hernandez e la lasciava sul ring di Tokyo contro il giapponese Kojichi Wajima al termine di un combattimento molto indeciso. Due cartellini su tre indicarono nel giapponese il nuovo campione del Mondo. E’ stato questo l’ultimo combattimento di Carmelo Bossi, appagato da una carriera favolosa.

Il quarto posto spetta a Saverio Turiello. E’ stato un campione di precocità, di furbizia, bizzarro ed estroso maestro nell’arte dell’arrangiarsi. Spirito mutevole, guidato da un istinto animalesco, dote che solo i grandi hanno in dotazione. I suoi movimenti felini gli meritarono il nomignolo di “Pantera di Milano”. Giovanissimo peso gallo, conquistava il titolo italiano dilettanti a Roma nel 1926 mentre l’anno successivo si laureava campione nei pesi piuma a Como. Già si presagiva una sua grande prestazione l’anno dopo alle Olimpiadi di Amsterdam, ma il giovanotto, di punto in bianco, partiva per l’Inghilterra a fare il professionista. Debuttava con un pareggio su quindici riprese e malgrado la squalifica della Federazione italiana, gli inglesi continuarono a farlo combattere. Nella “vecchia Albione” imparava molti dei trucchi del mestiere fino a che la nostalgia lo indusse a tornare. Al suo cinquantesimo combattimento tentava la conquista del titolo dei pesi leggeri, ma un “certo” Carlo Orlandi, suo contraltare nella tifoseria milanese, glielo impediva. Turiello aveva combattuto, vinto e perso, con tutti i migliori pesi piuma e leggeri italiani e dopo una vittoriosa tournée in Francia, a Milano, superava Ambrogio Redaelli e si fregiava per la prima ed unica volta del titolo di campione d’Italia dei pesi leggeri. Respinto il probante attacco di Enrico Venturi, era ancora l’amico rivale Orlandi a togliergli la corona. Spirito vagabondo mal si adattava a stare sempre nello stesso posto. La Francia ancora, quindi l’Australia e dal paese dei canguri direttamente negli Stati Uniti d’America. Ventisei combattimenti quasi tutti vittoriosi, tanto da issarlo al quarto posto della classifica mondiale, ci restituirono un peso welter completo. Di tecnica non aveva niente da imparare da nessuno ma il suo fisico si era irrobustito. Il campione europeo in quel momento era Felix Wouters e bisognava trovargli lo sfidante giusto. Chi meglio di Turiello od Orlandi poteva avere possibilità di vittoria? Venne indetta una semifinale ed i due grandi rivali si ritrovarono di fronte a Milano. Fu un avvenimento che fece epoca. Una grande folla in un’atmosfera da gala pugilistico fece da cornice al Palazzo dello Sport. L’impeto degli atleti, la maestria di Turiello, la ferita di Orlandi e l’intervento del medico scandirono i tempi del furioso duello. E venne il tempo di Wouters. L’atteso combattimento trovava all’inizio un Turiello fuori misura e sul filo della parità fino al settimo tempo, quando il milanese si scuoteva dalla sua abulia, sciorinando tutto il suo funambolico modo di boxare. La tecnica eccellente del belga non riuscì a contenere lo slancio del lombardo che al termine dell’emozionante confronto regalava all’Italia la seconda corona europea  della categoria. La conquista del titolo lo galvanizzava; pareggiava a Berlino con Gustav Eder e batteva l’eterno rivale Cleto Locatelli prima di recarsi a Parigi ad assaggiare le velleità dell’astro nascente Marcel Cerdan, senza mettere in gioco il primato continentale. Subisce una sconfitta che lancia il campione francese ad essere il suo nuovo sfidante al titolo d’Europa in suo possesso . Il match si svolse a Milano, al Palazzo dello Sport, e Saverio, pur avendo conosciuto la forza dell’avversario (o proprio per questo), sbagliava tattica cercando la soluzione di forza, quando l’astuzia sarebbe stata l’arma più appropriata. Cerdan si dimostrava quel campione che è stato; non tirava un solo colpo largo ed aveva nel suo crochet sinistro un’arma invalicabile per Turiello, che davanti ad un simile avversario dimostrava di avere esaurito la sua carica dirompente. Questo suo “trand” negativo lo palesava anche nel successivo combattimento con Michele Palermo per il titolo italiano La sconfitta lo indusse a ritornare negli States dove “Savy” rimase fino alla fine della carriera che avvenne cinque anni dopo, sempre dignitosamente sul ring contro i migliori pugili del mondo.

La quinta posizione la riservo a Fortunato Manca. Succede a Bruno Visintin nel possesso della corona di campione d’Italia. E’ il diciassettesimo di una serie  di pugili il cui alto valore fa della categoria dei welter una delle più importanti del pugilato italiano. Atleta possente, una vera “macchina da pugni”, l’atleta di Monserrato debuttava in sordina. Scarso tecnicamente, andò migliorando con il tempo. Dopo 59 combattimenti di cui uno solo perso per squalifica, quindi praticamente imbattuto e con un primo tentativo di approccio al titolo nazionale finito alla pari con Visintin, sfidava per il titolo europeo quel mostro sacro di Duilio Loi. Per sottolineare quanto i sardi credevano nel loro campione basti dire che quel giorno accorsero in quarantamila allo Stadio Amsicora, affollato fin dal mattino malgrado l’incipiente pericolo di pioggia. La maestria tattica del campione in carica non permise allo sfidante, malgrado la sua generosità, di sovvertire il pronostico e come tutti quelli prima di lui, dovette sottostare a uno dei più grandi pugili italiani di tutti i tempi. Ma il titolo nazionale era alla sua portata e pochi mesi dopo a Roma, superando Ferdinando Proietti, riusciva nell’intento di fregiarsi per la prima volta del titolo di campione d’Italia. Dopo alcune discusse sconfitte subite all’estero, respingeva con autorità il bravo Franco Nenci, quindi veniva nominato co-sfidante con il francese François Pavilla al titolo europeo lasciato vacante da Duilio Loi. Il match organizzato dalla ITOS di Rino Tommasi si disputò al Palasport di Roma e permise allo scatenato cagliaritano di diventare il settimo pugile italiano ai vertici continentali tra i psi welter. Il francese di origini martinicane era in possesso di impostazione tecnica di prim’ordine ma non seppe reggere alla potente azione di Manca, che al settimo round gli infliggeva due pesanti atterramenti, salvato dal getto della spugna. Il titolo europeo era in buone mani e pure lo spagnolo Carmelo “Gancho” Garcia dovette subire l’onta del K.O. sul quadrato di casa sua, Madrid. A fare da preludio a quest’ultima affermazione che poco dopo lo avrebbe portato al ritiro dall’attività, imbattuto campione, vi fu l’ardente battaglia con Sandro Mazzinghi per il mondiale dei superwelter. A Roma il sardo sfiorava la grande affermazione, battuto con un verdetto ai punti ma con il campione in carica sull’orlo del fuori combattimento all’ultima ripresa. Dopo due vittoriosi confronti in Tailandia, decise di chiudere la carriera a causa di una infrazione all’occhio che sarebbe potuta diventare pericolosa. Per prudenza seguì a malincuore il consiglio di chiudere al quel punto la favola di un campione che si è fatto da solo, con costanza e passione.

Lo scranno numero sei va a Vittorio Venturi. Il secondo dei tre fratelli Venturi era soprannominato “il taciturno” per il suo carattere schivo e di poche parole. Sul ring alternava combattimenti esaltanti ad altri in cui l’abulia la faceva da padrone. Combattente di razza, tecnico dotato di pugno efficace, debuttava a sedici anni come peso piuma, quindi peso leggero e infine gagliardo peso welter al ritorno da una proficua tournee in Sud America. Aveva 22 anni quando a Milano davanti a diecimila spettatori riusciva a scalzare dal gradino più alto Mario Bosisio, da sei anni campione d’Italia. Per la verità il milanese faticava  a rientrare nei limiti della categoria, ma batterlo fu sempre un’impresa. Dopo questo successo affrontava per la prima volta un combattimento valevole per il titolo europeo, il suo chiodo fisso, che avrebbe caratterizzato in modo sfortunato e negativo tutta la sua carriera. Gustav Roth era un grande ma a Roma un discutibile verdetto di parità consentiva al belga di mantenere la corona adattandosi ad una gara ostruzionistica che la sua grande esperienza gli permetteva. Difeso il titolo italiano, sempre in suo possesso, contro il concittadino Vincenzo Rocchi, si recava a Bruxelles per una doverosa  rivincita con Gustav Roth. Questa volta il grande pugile belga mise in atto tutto il suo sapere pugilistico e riconquistava l’europeo che nel frattempo era rimasto vacante. In Italia Michele Palermo e Luigi Bonetti dovettero inchinarsi al campione che forte di questi nuovi successi ritentava l’assalto alla corona europea. Ancora a Bruxelles il titolo, di nuovo  vacante, venne conteso dal nostro campione e dal belga Adrien Anneet. Venturi incappava in una di quelle giornate abuliche  che erano la sua caratteristica negativa  e perdeva una grande occasione per conquistare l’ambito trofeo. Partito per una nuova campagna in Sud America, Vittorio non poteva difendere il titolo italiano e veniva detronizzato dalla Fpi. Però al suo ritorno in Patria riconquistava il titolo italiano superando il grande rivale Michele Palermo (Quattro volte si affrontarono in carriera con due vittorie a testa), quindi sul ring di Zurigo ancora una volta il titolo europeo gli sfuggirà ma non per colpa sua bensì ad opera di una giuria partigiana. Il giudice italiano Edoardo Mazzia aveva quattro punti di vantaggio per il romano ma un sarcastico pareggio permetteva al tedesco Gustav Eder di salvare il  titolo. Battuto in un grande combattimento il concittadino Vincenzo Rocchi con il pubblico romano equamente diviso in due fazioni in uno dei combattimenti più appassionanti disputati nella capitale, cercava per la quinta volta il titolo europeo. Ad Amburgo la sorte gli fu per l’ennesima volta contraria e rimediava una sconfitta quando un pareggio sarebbe stato un regalo per il tedesco. Battuto Amedeo Dejana partiva per il Nord America dove avrebbe disputato 11 combattimenti contro i più forti pugili americani, con sette vittorie, due sconfitte e due pareggi. Ancora una volta il titolo italiano gli veniva tolto. Per un paio d’anni rimaneva tra  migliori welter italiani e sarà ancora Michele Palermo a negargli un ultima vittoriosa impresa. Dopo 113 combattimenti il “taciturno” malgrado la mancanza di un titolo di campione d’Europa merita un posto tra i grandi del pugilato italiano.      

Al settimo posto posiziono Emilio Marconi. Venne soprannominato il “Ragioniere del Ring”. Simile appellativo configura il tipo di pugilato che esprimeva il campione grossetano, il quale seppe costruirsi una luminosa carriera, pezzo per pezzo .con molta pazienza e raziocinio. Fine tecnico, fu un ottimo peso leggero ma si vide la strada sbarrata da Duilio Loi, che lo superava una prima volta a Cagliari, ma che riusciva ad inchiodare sul pari in un successivo combattimento per il titolo. La sua parentesi tra i pesi leggeri durava quattro anni in cui disputava trentasei matches con poche sconfitte, battuto solo dai migliori. Nella nuova categoria dei welter Marconi si trovò subito a suo agio e la  sfida a Luigi Valentini per la corona italiana venne giustamente accettata. Al Teatro degli Industri di Grosseto, gremito all’inverosimile, Marconi impose la sua classe anche se il detentore del titolo non apparve in serata felice. Molto più convincente fu la sua prima difesa contro un pugile in ascesa come il romano Luigi Coluzzi. Questi, combattente nato, venne a sorpresa battuto proprio sul suo terreno preferito. Mentre tutti si attendevano da Marconi il combattimento di rimessa, questi si lanciava all’attacco ed il fine schermidore si trasformava in pugnace battant. Il match si svolse al Comunale di Bologna e questo successo gli valse la qualifica di sfidante al titolo europeo detenuto dal francese di colore Idrissa Dione. Nella sua città il grossetano diventava il quinto italiano a cingere la corona continentale. Non fu un match esaltante ma il merito di Marconi fu quello di costringere il campione in carica ad attaccare ed immolarsi sui suoi colpi d’incontro. Subito dopo abbandonava il titolo italiano per proseguire la carriera a più alto livello. A Bologna respingeva Valère Benedetto con una facile vittoria mentre l’inglese Peter Waterman lo costringeva ad un pari bugiardo in quanto, anche se di misura, Marconi aveva vinto. Le due sconfitte subite con Seraphin Ferrer e Kid Dussart, ambedue in trasferta, non intaccarono il suo valore ma fu a Londra che Marconi veniva ingiustamente spodestato da Pater Waterman al termine di un match condotto gagliardamente, che lo vedeva in leggero, ma netto vantaggio nella penultima ripresa. Non era prevedibile un capovolgimento della situazione ma ci pensava l’arbitro olandese Knol a fare un regalo all’inglese. Marconi che aveva accusato una ferita al settimo round veniva dichiarato inidoneo a proseguire il match. L’ingiustizia patita veniva riparata alla fine dello stesso anno quando Waterman abbandonava il titolo europeo. Marconi incontrava Jaques Herbillon a Milano ed al termine di un combattimento che il generoso pubblico di Milano sottolineava da convinti applausi, surclassava il francese aggiudicandosi ogni ripresa. Questo grosso successo apriva le porte ad un altro grande avvenimento: la sfida con Duilio Loi passato di categoria e che aveva conquistato il mondiale dei welter junior. Il grossetano, che aveva superato i trentadue anni, non si tirava indietro e pur perdendo con il fuoriclasse triestino, ormai milanese d’adozione, disputava un eccellente combattimento che lo consacrava degno della massima considerazione. La sconfitta in ogni caso gli toglieva motivazioni per continuare una carriera degna di successi e la sconfitta con il modesto danese Chris Christensen lo convinceva ad abbandonare le battaglie del ring.

Per l’ottava collocazione individuo Michele Piccirillo. Il “Gentleman del Ring”, così la grande stampa lo presentava, per i suoi modi gentili in ogni contesto e l’eleganza del suo pugilato. Allievo del padre Scipione, noto maestro pugliese, giovanissimo  si dedicava alla boxe ottenendo probanti vittorie in campo dilettantistico. Molti i tornei vinti oltre al titolo nazionale nel 1987 come peso leggero e nei tre anni successivi nella categoria superiore. Nel 1981 fu medaglia di bronzo agli europei. Vero predestinato, la sua tecnica raffinata unita ad un pugno pungente lo portarono ad emergere tra i superleggeri. Bravo tecnicamente sapeva colpire di precisione con entrambi i pugni ma soprattutto era in possesso di una intelligenza pugilistica capace di inquadrare in un attimo i punti deboli dell’avversario di turno. In breve conquistava il titolo internazionale IBF e quello nazionale battendo di forza il riminese Franco Palmiero. Si recava quindi ad Aalbog da favorito contro il locale Soren Sorensen per il titolo europeo. Piccirillo incappava in una giornata storta. Inconcludente ed abulico non riusciva ad imporre la sua maggiore duttilità tattica e subiva la prima sconfitta in carriera. Dopo aver respinto Francesco Cioffi che lo aveva sfidato per la corona italiana, passava quindi tra i pesi welter e nella nuova categoria riusciva ad esprimere tutto il suo grande potenziale. La eccellente quotazione raggiunta lo elevava a contendere all’inglese Geoff McCreesh per il campionato europeo in quel momento vacante. A Novara stendeva al tappeto il bravo contendente con un destro di rara bellezza e precisione. Rimasi molto colpito dalla bellezza di quell’azione che pensai che sarebbe rimasto titolare per parecchio tempo. Mi sbagliavo perché il pugile e chi lo guidava, sceglievano di perseguire la strada di un’avventura mondiale piena di incognite con una nuova sigla, la WBU di matrice sudafricana, oggi scomparsa. Abbandonava il titolo europeo che aveva una sua luminosa storia e prestigio e incontrava Alessandro Duran che aveva intrapreso la stessa strada e da poco era diventato titolare della nuova sigla. Conquistava il segno del primato battendo il ferrarese con pieno merito e difendeva per otto volte quello che non può essere considerato un mondiale vero. A parte Alessandro Duran gli avversari battuti erano di classe inferiore o ex campioni come Juan Manuel Coggi e Frankie Randall, entrambi a fine carriera. Il fatto che dopo questa avventura sentisse il bisogno di un titolo vero avalla questo mio convincimento e la conquista del mondiale IBF valorizza tutta la sua carriera. A Campione d’Italia, enclave italiana in territorio svizzero, compiva l’impresa di superare l’americano Cory Spinks, un campione vero. Vittoria che gli permette di essere il primo pugile italiano campione del mondo tra i pesi welter. L’inattività di quasi un anno tra il combattimento che lo laureava titolare iridato e la rivincita d’ufficio con lo stesso avversario è stata una delle cause che gli costeranno la perdita dello stesso. Cory Spinks, assetato di rivincita, si guadagnava la vittoria in virtù di una maggiore velocità d’azione. Michele contestava il verdetto, che, ai più, era sembrato ineccepibile e continuava una saltuaria attività che lo avrebbe portato ad un nuovo match per il titolo mondiale, questa volta sotto le insegne del WBC tra i superwelter. A Chicago lo scorbutico e scorretto Ricardo Mayorga respingeva le sue pretese. Subito dopo conquista a Bergamo il titolo europeo contro Lukas Konecky  e difeso alla grande contro Luca Messi al velodromo Vigorelli di Milano. Sempre nella capitale lombarda Michael Jones veniva steso con una precisa combinazione di colpi. Era il 2007 e abbandonava il titolo europeo perché a Masantuchet in USA lo aspettava un avversario difficile per il mondiale WBC. Le previsioni vennero rispettate anche se il barese usciva dal confronto con il grande avversario battuto ma non umiliato. A trentanove anni Michele Piccirillo tenterà la riconquista del titolo europeo ma a Wigan la giovinezza del campione in carica Jamie Moore non gli lascerà scampo. Termina cosi malinconicamente la carriera di un campione che ha lasciato il segno da protagonista in tre diverse categorie.

Al nono posto metto Leonard Bundu. Nacque a Freetown nella Sierra Leone, da padre del luogo e madre fiorentina. Dopo la scomparsa del genitore, visse un’infanzia difficile e la grave situazione del paese, sconvolto dalla guerra civile, lo costrinse a fuggire in Italia, a Firenze luogo di nascita della madre. All’Acc.Pug. Fiorentina inizia il pugilato dilettantistico che lo porterà in breve a far parte della Nazionale Italiana di pugilato. Carattere ribelle e poco rispettoso delle regole, dopo essere stato estromesso dalla squadra azzurra per indisciplina, parteciperà ai giochi Olimpici di Sydney sotto la bandiera del suo paese natale, superando solamente il primo turno. Nel 2005, a 31 anni, abbracciava il professionismo dimostrando di aver cambiato atteggiamento verso la boxe. E’ il periodo in cui le varie cinture imperversano nel mondo pugilistico e Bundu ne farà collezione. Il Mediterraneo IBF contro Karim Netchaoui sarà la sua prima conquista, seguita dal titolo di campione nazionale battendo Gianmario Grassellini. Un anno dopo vincerà la cintura dell’Unione Europea contro Frank Horta e difesa dall’assalto di Frank Shabani. Dopo aver battuto Carlos Jerez per l’intercontinentale WBA arriva la chance europea. Il match si svolse a Roma  e l’avversario era il duro eroe locale Daniele Petrucci. All’ottavo round Bundu subiva un grave infortunio ed il match fermato con un pareggio tecnico. Quattro mesi, dopo a Firenze, la rivincita ebbe un esito ben diverso e Leonard vinse ai punti con un buon  margine di vantaggio. Campione d’Europa, iniziava una entusiasmante cavalcata sui ring di casa nostra: Antonio Moscatiello a Brescia, Stefano Castellucci a Udine e ancora nel bresciano, a Rezzato, Ismael El Massoudi, non riuscivano a sentire l’ultimo suono del gong. A Roma Rafal  Jackiewicz e Lee Purdy a Londra facevano la stessa fine. Solamente Frankie Gavin a Wolverampton, in Inghilterra, finiva battuto ai punti. Era giunto il tempo per un mondiale, sia pure ad imterim. La WBA gli diede questa occasione. A Las Vegas, l’età e la forza dell’avversario Keith Thurman gli impedirono la grande conquista. Passati i 40 anni dopo un periodo di quasi inattività, trovava la forza di ritornare campione d’Europa a Firenze a spese del finnico Jussi Koivula. Questo nuovo successo lo proiettava verso una semifinale mondiale negli USA dove a Staten Island  veniva battuto da Errol Spence. Chiudeva la carriera con l’unica sconfitta prima del limite dopo 37 combattimenti. Ci si chiede dove sarebbe arrivato se non avesse perso tutto quel tempo tra i dilettanti.

Sul decimo scranno piazzo Alessandro Duran. Come definire un campione che tra sconfitte e vittorie ha caratterizzato con la sua presenza una decina d’anni della storia della categoria? Peso welter naturale, ben trentadue match titolati figurano nel suo palmares.  Figlio d’arte, i Duran padre ed il fratello Massimiliano, sono anch’essi entrati nella storia del pugilato italiano in altre categorie. Alessandro fu sicuramente un campione di perseveranza che credeva fortemente in se stesso. Questa determinazione gli permise ogni volta di riprendersi dopo le sconfitte.  In possesso di un  magnifico jab sinistro,. non ebbe agli esordi nel destro un’arma simile, ma questa lacuna non gli impedì di raggiungere alti traguardi. Pugilatore per vocazione, sotto la guida del padre sfidava le regole italiane contrarie al professionismo a chi aveva meno di ventuno anni ed esordiva a Chicago non ancora maggiorenne, quasi a voler sottolineare l’impopolarità della regola. L’immancabile squalifica lo tenne fermo per un paio d’anni quindi si lanciava con ardore nella professione e dopo diciannove match effettuava il suo primo tentativo di conquistare il titolo italiano, respinto dal campione in carica Renato Biagio Zurlo. Ma il ragazzo era testardo. Questo primo insuccesso non lo fermava e centrava l’obbiettivo superando Paolo Pesci che nel frattempo era subentrato a Zurlo. Fu un verdetto per squalifica dell’avversario a dargli il successo. Ferito da una testata, giudicata volontaria, che gli procurava una vasta ferita gli veniva assegnato il titolo, contestato dal Pesci che non si sentiva colpevole. Il cammino nazionale continua con una vittoria su Antonio Marino e la sconfitta in rivincita con il bolognese Paolo Pesci. Ritornava campione su Marco Cipollino. Antonio Daga, due volte, e Felice Riotta, furono respinti prima che una sconfitta per intervento merito lo privasse del titolo battuto da Santo Serio. Sempre per ferita con lo stesso avversario lo riconquistava e difendeva ancora con Felice Riotta e Antonio Daga. Seguivano due difficili trasferte in Gran Bretagna. A Belfast veniva battuto  per il titolo mondiale WBO da Eamonn Loughrane, quindi a Glasgow per l’europeo tenuto nelle salde mani di Gary Jacobs. Ritornava quindi nel suo proficuo campo nazionale e batteva di nuovo Santo Serio e Vittorio Barbante prima di essere sconfitto di nuovo per ferita da Adriano Offreda. Ancora una volta la rivincita gli dava ragione  La superiorità tecnica di Alessandro Duran fu determinate per la sua affermazione. A Catanzaro si consumava  l’ultimo impatto con il titolo italiano in un match aspro e combattuto in un’atmosfera surriscaldata per il grande tifo dei sostenitori di Pasquale Perna. Il match trasmesso in TV non è stato certamente un inno in favore del pugilato. Abbandonava il titolo italiano sentendosi maturo per traguardi più importanti. Subito abbracciava la nuova sigla mondiale WBU in cerca di legittimazione. Ne conquistava il titolo battendo per squalifica il sudafricano si origine scozzese Gary Murray, superato ai punti nella rivincita, ma subito dopo l'altro sudafricano Peter Malinga gli infliggeva una dura sconfitta. Quattro mesi dopo si rifaceva a Ferrara battendo lo stesso avversario con una convincente vittoria ai punti. Nel 1998 era la volta di Michele Piccirillo con il quale ingaggiava due splendidi duelli anche se ha dovuto soccombere entrambe le volte. Chiudeva così il suo approccio a quello che io non considero un vero mondiale, per rivolgere le sue attenzioni al campo europeo. Il suo cammino altalenante non cambiava: campione d’Europa su Maxim Nesterenko perdeva il titolo alla prima difesa contro Andrej Pestraiev, complice la solita ferita. A Ferrara si riprendeva il titolo e respingeva l’assalto di José Ramon Escriche prima di perderlo a Copenaghen superato dall’idolo locale Thomas Damgard. Quando questi abbandonava la corona europea per mire mondiali, era ancora Maxim Nesterenko a consentirgli il ritorno in cima ai valori continentali. Dopo il facile successo su Douglas Bellini nel gennaio 2002 a Thiste cedeva la corona al danese Christian Bladt. Poco dopo lasciava l’agonismo ma non il pugilato. Alessandro, perito agrario e laureando in pedagogia ha la boxe nel sangue. La sua passione e l’attaccamento alla pratica sportiva lo vede ora impegnato nel gestire la propria palestra. La figura di Alessandro Duran merita di essere portata ad esempio per tutti quelli che vogliono ritagliarsi un posto di rilievo nella storia del pugilato.

Pietro Anselmi

 

 

 

 

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