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29 GIUGNO, DATA PER RICORDARE PRIMO CARNERA

 

Orgoglio degli italiani d’America

Ad 80 dalla conquista del titolo mondiale dei pesi massimi ed a 46 anni dalla morte, vogliamo ricordare Primo Carnera e lo vogliamo fare parlandone bene. Non siamo sentimentali né attaccati ai simboli tricolori. Lo vogliamo ricordare come il gigante buono, ma crediamo soprattutto nelle sue grandi qualità di combattente. Quelle attitudini che lo portarono sulla vetta del monte più alto del pugilato internazionale.
La figura di Carnera è stata la più devastata nel mondo della boxe. Sono state scritte tante cattiverie. Tante oscenità sono state interpretate sulla sua ascesa pugilistica. Tutti episodi che gridano vendetta. Addirittura un film è stato ispirato alla sua esecrata esistenza. Noi siamo convinti e lo scriviamo con saldezza di opinione che Primo Carnera ha avuto una vita straordinaria, soprattutto come pugile, dimostrando di aver avuto talento per la mole che portava tra le corde, cuore e coraggio per districarsi in un mondo bestiale e malvagio che la boxe rappresentava.
Primo Carnera è stato un degno campione del mondo, come tanti altri.
Ogni medaglia ha sempre il suo rovescio. Se l’italiano di Sequals fosse stato favorito da risultati “addomesticati” dobbiamo ritenere anche il contrario e cioè che sia stato vittima di raggiri a vantaggio di avversari.
Nel mondo delle combine, così come raccontante dai malvagi, i binari percorribili sono sempre due: uno che porta alla vittoria, l’altro che conduce alla sconfitta. Il dare ha anche l’avere, ovvero l’avere viene controbilancio dal dare. La regola del do ut des è l’equilibrio dei rapporti.
La sua carriera è iniziata nel 1928 in Francia. Se valesse la teoria dei maldicenti dovremmo pensare che Carnera avesse beneficiato della “spinta” fin dai primi passi. Vogliamo ricordare che prima di approdare negli Stati Uniti ha combattuto anche in Germania, Spagna e Gran Bretagna, rimediando risultati positivi e negativi.
Ci domandiamo: quando è stato squalificato in Europa contro Franz Diener e Young Stribling vi era la complicità dell’arbitro? Il terzo uomo sul ring sarà stato parte attiva dell’imbroglio che si perpetrava ai danni degli spettatori?
Noi non crediamo che Carnera sia stato solo strumento di un’abile marchingegno organizzativo che doveva servire ad arricchire i disegnatori di questo mega progetto. Il profitto vi è stato ma non nel canovaccio descritto dai malevoli che non conoscono nulla di pugilato e del suo mondo, interiore ed esteriore.
Lui è stato soprattutto un atleta dotato di grandi doti. Le sue potenzialità sono diventate virtù con la costante applicazione quotidiana in palestra. Match dopo match è nato il grande personaggio che tutto il mondo ha conosciuto.
Vogliamo pensare che in American la sua carriera sia stata costruita come è avvenuto per tutti gli altri pugili che sono arrivati in alto. La “costruzione” di una carriera da pugile non è altro che la proposta graduale di avversari. Se il pugile vince continua a convincere i suoi mentori delle qualità che ha in serbo per fare meglio. Così si continua con pugili sempre più impegnativi. Combattimento dopo combattimento si arriva laddove i propri mezzi lo permettono.
Se compariamo le carriere iniziali di Rocky Marciano, Cassius Clay (quando non era ancora Muhammad Ali), Mike Tyson ed altri, leggendo i rispettivi record ed analizziamo la consistenza degli avversari affrontati e sconfitti, non possiamo che convincerci di questa verità lapalissiana.
Questo vale per tutti i pugili, per tutte le categorie di peso, in ogni latitudine.
Lo statunitense Pete Rademacher, vincitore alle Olimpiadi di Melbourne nel 1956, non seppe attendere la crescita tra i professionisti ed andò controcorrente. Tentò la conquista del titolo mondiale al debutto tra i prizefighter e finì ko alla sesta ripresa dinanzi a Floyd Patterson. La brillante carriera dilettantistica, conclusa con l’oro olimpico ed il record di 72 vittorie (35 prima del limite) e 7 sconfitte, non gli servì per compiere l’incredibile risultato..
A volte abbiamo visto pugili che si sono costruiti la carriera a proprie spese. Hanno fatto esperienza, sconfitta dopo sconfitta, e sono riusciti ad arrivare in alto, fino al massimo traguardo.
I filmati di Carnera che oggi si possono vedere sul web testimoniano le sue qualità di pugile di rango mondiale. Ci permettono di apprezzare la sua tecnica particolarmente spiccata, la velocaità di esecuzione, nonostante la mole, che si fondevano in un effetto a volte devastante per i suoi avversari.
Molti hanno sostenuto che Carnera combatteva molto in un anno per essere ritenuto credibile: 26 volte sia nel 1930 che nel 1932. I fautori di questa tesi non hanno analizzato i record di altri pugili che combattevano in quegli anni. Forse Carnera ebbe il primato assoluto ma tantissimi altri suoi colleghi erano stanziati di poco. Eppoi Carnera era un’attrazione unica. La sua presenza fisica, le prestazioni sbrigative e la promozione pubblicitaria che lo accompagnava favorivano gli ingaggi. Carnera era una macchina da pugni diventato “El Dorado” per manager e promoter. Erano gli anni in cui l’immigrazione italiana era alla ricerca di una identità comune con gli eroi del momento. Questa corrispondenza di ideali faceva lievitare la popolarità del pugile italiano.
L’unica verità che riteniamo credibile riguarda la quantità di denaro fatto girare attorno alla sua persona ed il fatto che sia rimasto vittima degli imbrogli finanziari che gli hanno privato dei meritati guadagni.
Il 1930, primo anno di attività negli States, si chiuse per Carnera con la sconfitta ai punti dinanzi a Jim Maloney. Il friulano tornò a vincere in Europa prima di prendersi la rivincita con Maloney.
Nel vecchio continente si misurò prima con il basco Paulino Uzcudun, già campione europeo e con utili esperienze nel nuovo mondo, superandolo ai punti a Barcellona, poi con l’inglese Reggie Meen, futuro campione Britannico, che frantumò in due tempi a Londra.
Possiamo immaginare che Uzcudun e Meen si lasciarono sconfiggere in casa per assecondare un “match truccato” voluto dai mentori di Carnera? Lo spagnolo bramava una chance iridata ed il confronto con Carnera era un’occasione ghiotta per scalare la vetta mondiale.
Il ritorno negli States fu vittorioso con il ricordato Maloney. Nel 1931 facili successi si assommarono alla sconfitta contro l’americano Jack Sharkey, in seguito campione del mondo che gli cederà la cintura iridata.
Nel 1932 Carnera fece ritorno nel vecchio continente e si esibì nelle diverse capitali, Parigi, Berlino, Londra e persino Milano. La tournee terminò con la sconfitta a Londra contro il canadese Larry Gains, campione nazionale e del Commonwealth, fiero di una proficua campagna europea che lo vide combattere anche in Italia.
L’attività di quell’anno proseguì negli Stati Uniti. Dopo 3 trionfi arrivò la battuta d’arresto per mani dell’americano Stanley Poreda. Seguirono altri 14 trionfi prima di arrivare all’anno cruciale.
La vittoria prima del limite ottenuta il 10 febbraio del 1933 contro Ernie Schaaf spalancò a Carnera la possibilità di sfidare il campione del mondo Jack Sharkey, contro il quale – come già ricordato –  aveva perduto ai punti sulla distanza delle 15 riprese nel mese di ottobre del 1931.
La notte del 29 giugno 1933 si avverò il sogno e Carnera fu incoronato campione del mondo dopo aver chiuso il conto con Sharkey nella sesta ripresa.
Vogliamo chiudere qui la parabola pugilistica di Primo Carnera, The Ambling Alp come lo chiamavano gli americani negli anni ’30, con il trionfo più importante delle sue 89 vittorie, 72 prima del limite. Sono state 14 le sconfitte riportate su 103 combattimenti.
Un uomo ed un campione che è stato sfortunato fino al punto da passare a miglior vita nella ricorrenza della sua magnifica notte di Long Island, il 29 giugno del 1967, nel 34mo anniversario della conquista del titolo di campione del mondo assoluto.
Era nato il 25 ottobre 1906 e doveva compiere ancora 61 anni.
 
Primiano Michele Schiavone
 

 

 

 

 

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