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I PRIMI DIECI SUPERWELTER ITALIANI

 

Esclusiva classificazione di Pietro Anselmi

Ancora grazie all’appassionata ricerca dell’amico Pietro Anselmi l’ambizione annoverata da sportenote di pubblicare la catalogazione dei primi dieci ex pugili professionisti italiani di ciascuna categoria di peso continua con la divisione dei superwelter.
La sua scrupolosa investigazione tra gli innumerevoli italiani che hanno riempito la categoria dei superwelter, unitamente alla sua abilità narrativa, diventa conoscenza della parte migliore della divisione di peso trattata in questa puntata.
Ecco la sesta "sfornata". Con un click sul nome di ciascun pugile si accede al record. Buona lettura.

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Quella dei pesi superwelter è una categoria di mezzo di grande spessore. Incastonata tra i pesi medi ed i pesi welter, per forza di cose molti dei campioni che l’hanno nobilitata sono stati protagonisti anche nelle due divisioni ricordate, per cui ho dovuto fare una scelta. Vito Antuofermo, campione europeo dei superwelter ha trovato posto tra i pesi medi, dove ha conquistato il mondiale. Carmelo Bossi, campione del mondo superwelter viene catalogato tra i pesi welter dove ha militato a lungo. Lo stesso criterio è stato applicato per Carlo Duran, campione d’Europa prima tra i medi poi nei superwelter. Nino Benvenuti, campione mondiale anche dei superwelter, è stato posto tra i medi dove ha vinti tutto, dal nazionale al continentale, fino all’iridato. Pure per Michele Piccirillo, campione europeo dei welter e superwelter, nonché mondiale della divisione inferiore, vale il principio della lunga militanza in una delle due divisioni di peso per cui in troverà posto tra i pesi welter. Questa doverosa precisazione serve a dimostrare che non ci sono disattenzioni riguardanti i campioni.

Il primo posto metto Sandro Mazzinghi. Il nostro quarto campione del mondo in ordine di tempo è stato un personaggio controverso, polemico da vero toscano, ma amato dai suoi sostenitori per la generosità con la quale conduceva i combattimenti, senza mai risparmiarsi, fidandosi delle sue proverbiali doti di resistenza, vigore fisico e potenza. Il dualismo con Nino Benvenuti, il suo contraltare di quei giorni, avrebbe caratterizzato tutta la sua carriera. Dopo che gli ebbero negato la partecipazione alle Olimpiadi del 1960 passava al professionismo e la sua potenza ben presto gli schiudeva orizzonti mondiali. Non fu mai campione italiano, in quanto da subito proiettato verso le alte sfere. Al suo trentesimo match a Milano si scontrava con il meticcio americano Ralph Dupas, sceso in Italia convinto di riportare a casa il titolo, ma aveva chiesto la disponibilità ad una eventuale rivincita. Fu previdente l’americano perché venne travolto dalla furia distruttrice del nostro. A Milano, Dupas, che era un buon pugile, resistette nove round mentre a dicembre a Sydney, in Australia, cedette alla tredicesima ripresa. Sandro, lanciatissimo, difese il titolo per due volte nel 1964 battendo Tony Montano ed il sardo Fortunato Manca. L’anno successivo la malasorte si affacciava maligna nel suo percorso umano e sportivo. In un fatale incidente automobilistico perdeva la moglie sposata da quindici giorni. Non del tutto rimesso fisicamente fu costretto a difendere la corona dei superwelter o medi junior come generalmente veniva chiamata a quei tempi. L’avversario era Nino Benvenuti. Mazzinghi perdette il titolo subendo un perentorio fuori combattimento. Nella rivincita al Palaeur di Roma i due rivali disputarono un combattimento entusiasmante con verdetto a favore del triestino, ma con accuse di furto sportivo da parte di tutto l’entourage del toscano e anche di buona parte del pubblico. In ogni caso i due match entrarono di diritto nella storia del pugilato italiano. Ma non finirà in questo modo la vicenda del grande pugile di Pontedera. Atleta tutto cuore e con tanta potenza era un beniamino dei tifosi italiani. Archiviate le vicende legate al grande avversario, Benvenuti, che lo hanno angustiato a lungo, riprese a battersi con orgoglio rivolgendo le sue attenzioni al campionato europeo. Lo conquistava a Roma contro Yolande Leveque, un ottimo pugile francese, battuto per ko in 12 round. Respingeva quindi diversi sfidanti: a Stoccolma lo svedese Bo Hoegberg, a Milano il francese Jean Baptiste Rolland, e l’inglese Wally Swift, mentre a Roma distrusse le aspirazioni del seguitissimo Joseph Gonzales. Nel frattempo il “nemico” Benvenuti aveva perso il mondiale medi jr a Seul in Corea ed il temutissimo orientale fu convinto a mettere in palio la corona a Milano contro il nostro campione. Allo stadio di San Siro, lo straripante pubblico presente assistette alle quindici riprese più terribili e drammatiche espresse sui nostri ring. Alla terza ripresa Sandro scatenava una violenta offensiva, fiaccava l’avversario e lo colpiva con un violentissimo gancio che lasciava il coreano stordito sulle corde. Suonava il gong e l’arbitro inglese scandiva i rituali dieci secondi. L’incontro era finito, ma sbagliando, il direttore di gara faceva riprendere il combattimento che sarebbe stato fatale per entrambi i pugili. Arrivarono alla fine delle canoniche quindici riprese dopo una lotta selvaggia. Sandro picchiava e incassava i colpi di Ki Soo Kim che rispondeva come un automa. Testate e gomitate misero a dura prova un Mazzinghi vittorioso il quale gioiva più che altro per l’indiretta vittoria sul suo storico avversario. La selvaggia lotta peserà sul fisico dell’asiatico, che salirà sul ring solo due volte ancora. Dopo un rodaggio vittorioso a Firenze sul caraibico Levi Campbell la difesa del titolo mondiale si concluse con un verdetto di no contest che gli costò la cintura iridata. Continuò per altri due anni con successi confortanti prima di decidere l’abbandono dell’attività. Dopo oltre sei anni riprese ad allenarsi e fare un ‘miracoloso’ ritorno sul ring, a 39 anni compiuti, concluso con altri tre trionfi, utili solo ad appagare il suo istinto guerriero.

La seconda postazione la riservo a Rocky Mattioli, australiano d’adozione nato il 20 luglio 1953 a Ripa Teatina in provincia di Chieti (la stessa cittadina che aveva dato i natali al papà del grandissimo Rocky Marciano), che arrivò in Italia dopo quattro anni di intensa attività – con una stasi di un anno – svolta nella terra dei canguri, dove aveva debuttato a torso nudo a sedici anni di età ed aveva conquistato il titolo nazionale dei pesi welter. Mattioli fu un pugile dalla boxe essenziale, spettacolare e dotato di notevole potenza. A Milano affinava le sue doti di combattente fino a riuscire nella difficilissima impresa di andare a conquistarsi il titolo mondiale all’estero. Il tedesco Eckeard Dagge nella sua Berlino, venne schiantato da due micidiali sinistri al quinto round dopo essere stato dominato fino a quel momento. Rocky in Australia si mise in luce per la spettacolarità del suo pugilato fatto non solo di potenza. Affermarsi sui ring australiani non era una cosa facile ma le vittorie prima del limite lo consacrarono sui selvaggi quadrati australiani. Conquistava il campionato dei pesi welter di quel paese ma la sua affermazione definitiva la ottenne in Italia nella categoria superiore con il titolo mondiale. Tornava a Melbourne per una prima perentoria difesa respingendo Elisha Obed in nove riprese mentre a Pescara, due mesi dopo, impiegava solo cinque round per piegare lo spagnolo José Duran. Non fu fortunato nel suo quarto confronto mondiale, a Sanremo nel marzo 1979 durante il combattimento con Maurice Hope, cadendo incidentalmente si spezzava il braccio destro e dovette ritirarsi all’ottava ripresa dopo aver tentato un’impossibile vittoria con un braccio solo. Operato e rimesso in sesto Rocky però aveva perso convinzione e fiducia nelle sue possibilità e nella rivincita con Hope a Londra falliva la riconquista del titolo. Dopo pochi combattimenti si ritirava dall’attività stabilendosi a Milano dove aveva aperto una frequentatissima palestra di fitness. Quinto italiano di sempre ad aver conquistato il mondiale dei superwelter.

Al terzo scranno colloco Gianfranco Rosi. Il perugino ha militato in due categorie ma tra i superwelter ha ottenuto i suoi successi più importanti. Gianfrancesco d’Assisi è l’appellativo con il quale viene identificato sia per il suo luogo d’origine sia per la scrupolosa ed assoluta dedizione allo sport che si è scelto. È stato protagonista di una carriera strepitosa tanto da riallacciare la sua figura ai grandi che hanno aperto questa rassegna. La sua è una carriera che possiamo dividere in quattro parti. La prima come dilettante dove oltre alle molte partecipazioni con la maglia azzurra, conquistava il titolo nazionale nel 1976 a Torino tra i superleggeri e  l’anno dopo a Napoli tra i welter. Passato tra i "prize fighter" iniziava la seconda  militando nella categoria dei pesi welter. La terza fase riguarderà il suo passaggio tra i superwelter con la conquista del titolo europeo, quello mondiale targato WBC e dopo la perdita di questo la riconquista sotto il patrocinio IBF. La quarta parte la più discussa è quella riguardante il suo rientro all’attività a 46 anni con licenza croata. Fase che riguarda soprattutto la sua sfera privata e che può essere interpretata come dimostrazione di integrità fisica tale da permettere ad un’atleta avanti con gli anni di  sostenere e vincere confronti sul quadrato. Rosi peso welter: l’umbro non tardava a scrollarsi di dosso i panni del dilettantismo ed in breve si portava a ridosso dei primi con una serie di vittorie interrotte solo da una sconfitta per ferita. Sfidante di Giuseppe Di Padova a Perugia, davanti a seimila spettatori entusiasti, la sua eccellente scherma e generosità costringevano all’abbandono il rivale e conquistava il primo titolo di un’importante carriera. Difendeva la corona per ben quattro volte dimostrando un attaccamento al titolo italiano che gli fa onore. Oggi molti lo abbandonano alla prima occasione, non così Rosi campione anche in questo. Ad Alberobello superava l’emigrante Antonio Torsello per ferita alla seconda ripresa, infine si guadagnava la stima generale battendo il brasilero-argentino Everaldo Costa Azevedo, che alla fine di una strepitosa carriera in ogni angolo del mondo aveva messo radici a Pavia. Perugino d’adozione, Gianfranco Rosi, ambizioso, fresco di energie con una gran voglia di emergere, ben contrastava il mestiere e la furbizia dell’avversario il quale nel corso del settimo round subiva danni irreparabili dovuti ad uno scontro fortuito di teste. Anche Pierangelo Pira e Francesco Gallo non resistevano sotto i precisi colpi del campione che con la pratica e l’esperienza andava ad acquisire una potenza insospettata. Dopo la quarta difesa della corona nazionale era doveroso rivolgersi a livelli più alti. Il titolo europeo era vacante per l’abbandono del francese Gilles Elbilia. Così Gianfranco Rosi e lo spagnolo Perico Fernandez si affrontarono allo Stadio Curi di Perugia per la conquista della vacante cintura, dimostrando una solida maturità ed innegabili progressi tecnici, elementi che lo portarono a battere nettamente l’avversario e diventare il decimo pugile italiano titolare del titolo europeo. Abbandonava quindi la corona nazionale per affrontare lo sfidante ufficiale Lloyd Honeyghan. Questi, pericolosissimo colpitore, lo sorprendeva al terzo round con un potente diretto destro che lo metteva fuori combattimento. Il match si svolse nel nuovo Palazzo dello Sport del capoluogo umbro e fu una doccia fredda per il nostro campione costretto a riprendere da capo una carriera che in seguito ne esalterà il suo grande spirito di rivalsa. Battuto da Lloyd Honeygham che poco dopo sarebbe diventato campione del mondo, Rosi si rivolse al panorama nazionale, anche per ritrovare fiducia in se stesso, e alla riconquista della corona di campione d’Italia. Raggiunge il suo scopo surclassando per merito di una maggiore velocità d’esecuzione il campione in carica Gaetano Caso, finito all’ottavo round con una perfetta combinazione di ganci e montanti sinistri. Problemi di peso portarono Rosi ad abbandonare il titolo cinque mesi dopo per passare nella divisione superiore dei superwelter, dando così inizio alla terza fase della sua carriera. Questa  cominciava con la conquista della corona continentale ottenuta a spese del britannico Chris Pyatt e mantenuta con le vittorie sullo spagnolo Emilio Sole e sul francese Marc Ruocco prima di abbandonarla per dedicarsi ad altri traguardi. Conquistata e persa la cintura WBC l’umbro volse le sue attenzioni al campionato mondiale IBF. Per tre anni ne mantiene la corona, battendo avversari non sempre da primissime posizioni di classifica, fino alla perdita dello stesso per mani di Vincent Pettway. Un successivo tentativo con la WBO non dava frutti sperati e arrivava al ritiro che come abbiamo visto non sarebbe stato definitivo. Sei anni dopo alla bella età di quarantasei anni, sfidando le dure leggi del tempo, ritorna sul ring come peso medio. Conquista il titolo del Mediterraneo dell’Ibf e lo difende contro pugili non trascendentali ma buoni fino all’atto finale contro il pericoloso Robert Roselia che lo mette KO a San Marino proprio sul finire di un combattimento che lo vedeva leggermente in vantaggio.

Sul quarto gradino pongo Bruno Visintin. Il ligure fu un altro dei campioni dell’epoca che dovettero sottostare alla supremazia in campo nazionale ed internazionale di Duilio Loi, con il quale dette vita a due infuocati combattimenti in cui riusciva a ergersi alla pari del grande avversario. Prodotto della famosa scuola spezzina, il giovanissimo dilettante Visintin ottenne grandi affermazioni con la conquista di due titoli di campione d’Italia, quello dei pesi piuma a Parma nel 1950 e quello dei superleggeri a Trieste nel 1952. Nel 1951 a Milano vinceva pure il titolo europeo dei leggeri e fu medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Helsinki nel 1952. Subito dopo effettuava il salto tra i professionisti imponendosi come uno stilista nitido e pulito. Dotato di un sinistro diritto come una spada, al suo diciannovesimo match sfidava Duilio Loi per i titoli italiano ed europeo dei pesi leggeri eguagliando in bravura il suo vincitore. Partiva per una proficua tournèe in Australia che sarebbe diventata un po’ la sua seconda patria ed al suo ritorno conquistava il campionato d’Italia dei pesi leggeri battendo Franco Antonini. Dopo aver difeso questo titolo dall’assalto di Mario Vecchiatto, il richiamo della terra dei canguri si faceva sentire e ripartiva di nuovo. Le dure battaglie sui ring australiani ci restituirono un Visintin diventato un solido peso welter, il quale alla nota bravura tecnica aveva aggiunto una completezza e solidità fisica che gli permisero di cogliere le affermazioni che meritava. La conquista della corona dei pesi welter ottenuta contro Giancarlo Garbelli, suo vincitore tre anni prima, le vittorie su Seraphin Ferrer e Sauveur Chiocca, che primeggiavano in Europa, lo riproposero sfidante dell’antico avversario Duilio Loi con il titolo europeo dei welter in palio. A Milano, al Velodromo Vigorelli, ancora una volta, i due furono protagonisti di una grande competizione ed ancora una volta i due finirono vicinissimi al traguardo finale, seppure aggiudicato ancora una volta a Loi. Svanito il sogno europeo Visintin si dedicava al titolo italiano in suo possesso e allo Stadio Amsicora di Cagliari, davanti a trentamila spettatori entusiasti, respingeva l’assalto di un pericoloso picchiatore come Fortunato Manca. Il pareggio accontentava tutti: la miglior tecnica dello spezzino eguagliava l’aggressività dello sfidante. Seguirono le vittorie su Giacomo Nervi, malgrado una larga ferita accusata a tre riprese dalla fine, e l’affermazione sul picchiatore cremonese Rino Borra a St.Vincent. Incontro dominato dal campione in carica tranne uno sprazzo al settimo round quando un pesante sinistro del cremonese lo faceva traballare. Ma anche per Visintin il peso cominciava ad essere tiranno. Così abbandonava il titolo e passava nella neonata categoria dei welter pesanti dove trovava quelle soddisfazioni che da tempo si sarebbe meritato. Batteva Fabio Bettini per l’inaugurale corona nazionale e poco dopo diventava il primo campione d’Europa di questa nuova identità che si era insinuata tra i welter ed i medi. A trentadue anni, uno dopo l’altro batteva il francese Yolande Leveque a Torino per la vacante cintura, lo spagnolo Cesareo Barrera Moya a Sanermo e Souleymane Diallo in un drammatico combattimento a Parigi, risolto con un fuori combattimento al penultimo round quando si trovava in svantaggio di punti. Quindi a Copenaghen era la volta di Chris Christensen soggiacere alla sua forza e sempre in trasferta fu Ray Philippe a essere battuto a Esch sur Alzette in Lussemburgo. A Dortmund batteva il pericoloso tedesco Peter Muller fino a che un infortunio alla mano destra lo costringeva al ritiro contro il danese Bo Hoegberg a Copenaghen. Bruno si infortunava alla terza ripresa e combattendo con il solo sinistro resisteva fino al sesto round prima di abbandonare. Finiva in questo modo la favola pugilistica di un campione con la “C” maiuscola. Dopo un altro soggiorno in Australia si stabiliva definitivamente nella sua La Spezia uscendo completamente dal  mondo pugilistico.

La quinta posizione la dedico a Luigi Minchillo, pugliese di San Paolo di Civitate, provincia di Foggia, pugilisticamente cresciuto a Pesaro dove si trasferisce e risiede tutt’ora. Da dilettante vinse il campionato italiano a Cagliari nel 1975 e nello stesso anno fu medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo ad Algeri. Dopo la partecipazione alle Olimpiadi di Montreal passava al professionismo esibendo doti di combattente spettacolare e generoso. Al suo ventunesimo match conquistava il vacante titolo italiano superwelter schiantando dopo appena due minuti di lotta il romagnolo Clemente Gessi. Difendeva la corona contro validi avversari quali Paolo Zanusso, Alvaro Scarpelli e due volte contro Vincenzo Ungaro prima di lasciare il titolo sentendosi pronto a scalare vette continentali. A Formia, contro il francese Louis Acaries, favorito d’obbligo, il foggiano sfoderando la sua proverbiale grinta, con continuità ed efficacia, annullava la superiorità tecnica del francese strappando un giusto verdetto di misura. Dopo la decorosa prova contro il fuoriclasse panamense Roberto Duran a Las Vegas, Minchillo dimostrava i grandi progressi conseguiti sbaragliando in quindici secondi il francese Claude Martin a Rennes in difesa del titolo europeo. Nel 1982 tre difese consecutive contro grandi avversari quali l’ex-campione del mondo Maurice Hope a Londra, il tedesco Jean André Emmerich a Praia a Mare e finalmente a San Severo contro lo slavo Marijan Benes dopo una furiosa e drammatica lotta. Stabilmente nelle alte sfere del ranking mondiale, Minchillo otteneva la grande opportunità di battersi per il titolo mondiale WBC  detenuto dal grande Tommy Hearns. Abbandonava il titolo europeo e a Detroit, l’11 Febbraio 1984, pur non vincendo usciva dal match a testa alta battuto di misura dal grande picchiatore americano. L’ottimo risultato gli procurava una seconda occasione, questa volta sotto l’egida della WBA. L’opportunità gli fu offerta a Milano ma l’avversario di turno, il campione Mike McCallum, non concesse scampo alla vigoria fisica dell’italiano imponendogli lo stop nella tredicesima ripresa. Dopo un salutare periodo di riposo, riprese la via del ring cercando di riconquistare quel titolo europeo che tante soddisfazioni gli aveva dato in passato. Ma una maligna ferita nel quarto round gli tolse ogni speranza di coronare quel sogno. Si era a Rimini e il francese René Jacquot godette di quell’infortunio per vincere il vacante titolo continentale.

Il sesto posto lo riservo a Remo Golfarini. È stato un ottimo dilettante dotato di eccezionali qualità istintive. Campione italiano a Modena nel 1962, l’anno successivo a Pesaro ribadiva la superiorità nazionale e a Francoforte conquistava l’oro ai campionati mondiali militari. Il salto tra i professionisti lo vide protagonista di una rapida carriera e di un altrettanto sollecito declino. Spettacolare nelle azioni, mostrava carenze nella fase difensiva, cosa che non gli permisero una carriera più duratura. Conquistato il titolo italiano in modo fortunoso per una ferita alla prima ripresa del rivale Armando Pellarin, ebbe modo di legittimare il possesso del titolo alcuni mesi dopo a Genova dopo un drammatico incontro contro lo stesso avversario. In una successiva difesa contro Luigi Patruno, ancora la sfortuna giocava un ruolo importante. Alla quinta ripresa una sospetta frattura alla mano destra faceva concludere il match con un no contest, con lo sfidante in quel momento in netta difficoltà. A questo punto della carriera una decisione quanto meno inopportuna di chi lo guidava in quegli anni fu quella di accettare un match contro il grande Emile Griffith. La conseguenza fu una pesante sconfitta. Esordiva tra i pesi medi e conquistava il titolo italiano contro il bravo Mario Lamagna, ma abbandonava subito la corona perché venne nominato sfidante al titolo europeo dei pesi superwelter, tenuto nelle mani del francese Jo Gonzales. Sulla carta sembrava un match impossibile per le grandi potenzialità del francese. A Roma Golfarini si produceva nel capolavoro di tutta la carriera imponendo all’avversario un superiore vigore fisico, un grande dinamismo e malgrado le note lacune difensive non ha permesso al “fulmine” di Narbonne di piazzare il suo famoso colpo definitivo. In seguito difendeva vittoriosamente il titolo contro Peter Marklewitz a Vienna quindi a sorpresa il tedesco Gerhard Piaskowy a Vibo Valentia lo spodestava. A sua scusante il livornese adduceva una vecchia lussazione alla mano destra ma in verità era iniziato il precoce declino. Un tentativo di riconquistare il titolo italiano contro Aldo Battistutta non aveva esito positivo così come quello di riconquistare il campionato dei pesi medi che era stato suo per poco tempo. Lo respingeva Luciano Sarti a Padova. Due ottimi pareggi in terra straniera contro Johann Orsolics e Jean Baptiste Rolland sembravano avergli ridato l’antico smalto ma a Cannes, in Francia, il picchiatore Gratien Tonna gli toglieva le residue illusioni.

La settima posizione l’assegno a Davide Ciarlante. Il superwelter di Palestrina fu pugile di buona classe, schermidore pungente che si è costruito con pazienza salendo per gradi nel difficile mondo pugilistico. Per un paio d’anni primeggiava in Italia  limitandosi ad un’attività in campo nazionale. A Tivoli il 1° giugno 1994 toglieva il titolo con un po’ di fortuna a Santo Colombo, il quale, poco allenato, abbandonava la contesa malgrado fosse leggermente in vantaggio. Ribadiva in seguito il suo buon diritto di essere campione. A Cagliari si trovava in chiaro svantaggio nei confronti dello sfidante Paolo Pizzamiglio quando il suo gancio sinistro, esplodendo sulla mascella dello sfidante, lo toglieva dai pasticci. A Sanremo, contro l’etiope naturalizzato italiano Teodros Mitiku l’esito fu più veloce. Tre round bastarono a risolvere la contesa mentre a Spinetoli di Pagliare del Tronto era Santo Serio ad essere battuto in cinque riprese. A Pozzuoli il controverso confronto con Piero Severini finito con un no-contest per ferita di entrambi i contendenti, faceva da preludio ad un nuovo combattimento con Teodros Mitiku che cercava la rivincita. Sul ring di Villapiana Lido il match finiva come il precedente. Alla sesta fatica in difesa del titolo italiano, ad Elmas in Sardegna superava il forte Valentino Manca per intervento medico, dopo di che abbandonava la corona nazionale per conquistare il titolo europeo. Il match si disputava a Cagliari il 20 dicembre 1996 contro Fouazi Hattab uno dei tanti nord africani naturalizzati in  Francia. Fu un match duro con vittoria di misura del nostro campione non al meglio della condizione. Andava meglio alla prima difesa a Roma. Un Ciarlante sicuro e deciso strapazzava per nove riprese lo spagnolo Javier Martinez. A San Gennaro Vesuviano il francese Said Bennajem veniva fermato dall’arbitro alla sesta ripresa. Ciarlante si era fatto una buona quotazione in campo internazionale ed un match per il mondiale di categoria targato WBC lo attendeva ad Atlantic City. Keith Mullings, senza dare prova di essere un fenomeno dimostrava di essere troppo forte. Il coraggio leonino del romano non bastava  per battere l’americano. Una frattura al setto nasale aggravava la situazione. Davide si arrendeva per ferita alla fine del quinto round. Finita l’avventura tra i superwelter passava fra i pesi medi e sfidava per l’europeo un altro francese di origine africana, Erland Betarè. Sul ring allestito a Saint Martin, un’isola delle Antille francesi Ciarlnte disputava una buona prova malgrado il caldo afoso si facesse troppo sentire. La seconda sconfitta della carriera lo amareggiava al punto di annunciare il ritiro dall’attività agonistica. Sempre con il pugilato nel cuore nove dopo, a 40 anni compiuti, si lasciava vincere dal rimpianto ed effettuava un nostalgico ritorno sul ring, con l’ultima vittoria sul modesto serbo Jovan Rakonjac.

Sull’ottavo gradino vedo Antonio Castellini.  Pur nella sua breve esistenza il siciliano ha lasciato un segno nel panorama pugilistico italiano. Fu buon dilettante con la conquista del titolo italiano pesi welter a Sassari nel 1970 e quello dei superwelter nel 1972 a Roma. Dopo le sfortunate Olimpiadi di Monaco (usciva al primo turno) abbracciava il professionismo dove la sua notevole potenza avrebbe potuto esprimersi meglio. Per ben quattro anni macinava avversari  (salvo una sola sconfitta per ferita ) ed il titolo italiano lo conquistava battendo Aldo Bentini con una chiara vittoria ai punti nella sua Palermo. Respingeva gli assalti di Walter Guernieri ed ancora Aldo Bentini in rivincita alla fine del 1974. L’anno dopo era Osvaldo Smerilli a non sentire il suono del gong finale. Una virtuale semifinale per il titolo europeo contro Vito Antuofermo gli costava una dura sconfitta. Una ditata nell’occhio lo aveva messo fuori combattimento. La sconfitta immeritata, lo rendeva nervoso al punto che nel successivo combattimento in difesa del titolo italiano, ancora in suo possesso, colpiva proditoriamente Damiano Lassandro con una testata che gli costava la squalifica e perdita del primato nazionale. L’immediata rivincita, organizzata a Palermo, dava l’esito sperato. Il match invelenito dalla conclusione di quello precedente subito si caratterizzava per la violenza dei colpi da parte di entrambi. Aveva la meglio Castellini il quale dopo aver atterrato e ferito Lassandro gli sfilava il titolo con un falso verdetto per intervento medico. Già si prospettava una succosa rivincita contro Vito Antuofermo che nel frattempo era diventato campione d’Europa, quando il destino lo aspettava sulla strada. All’entrata di una galleria nei pressi di Palermo, sbandava con la sua moto finendo contro il guardrail, decedendo sul colpo. Aveva sempre avuto fretta in carriera ma tutto a soli 25 anni finiva. Era un campione e avrebbe avuto ancora molto da dire. Fu un brutto colpo per il pugilato italiano.

Al nono posto colloco Damiano Lassandro. Il barese di Pesaro, oltre ad essere stato un buon dilettante ha saputo emergere anche nella professione. Nato a Bari ma pugilisticamente cresciuto a Pesaro, era pugile completo, dotato di buona tecnica e di pugno sodo. Qualità che ebbe modo di evidenziare con diciassette risultati positivi prima di togliere il titolo italiano ad Antonio Castellini in un controverso combattimento disputatosi a Pesaro. Una testata volontaria del rivale, con conseguente squalifica del focoso rivale lo favoriva. Questi si rifaceva cinque mesi dopo a Palermo con una vittoria per ferita. Era destino che i combattimenti disputati da Lassandro, titolo in palio, lasciassero strascichi polemici. Così fu anche nel confronto con Aldo Bentini che gli valse la riconquista del titolo italiano, una testata controversa determinava la squalifica del laziale. La doverosa rivincita legittimava la sua superiorità con una chiara vittoria di forza. In Italia. Respinti anche Walter Guernieri e Clemente Gessi, non aveva più rivali in patria ed il titolo europeo sembrava alla sua portata. Ancora una volta la sua città di adozione Pesaro  si mobilitava ed il match contro Marijan Benes  ebbe  luogo il 13 febbraio 1980. Il pareggio con lo slavo ,che in quel momento era sicuramente il più forte superwelter europeo e con una buona quotazione in campo mondiale,va a suo onore ma non bastava a scalzare il forte avversario dal suo trono continentale. La delusione per la mancata vittoria fece da preludio al ritiro dall’attività che avvenne poco tempo dopo.

La decima posizione l’assegno a Giuseppe Leto. Molti sono i pretendenti alla decima poltrona. Il palermitano Pino Leto si merita questa citazione per il coraggio e la perseveranza con la quale, a prezzo di grandi sacrifici, ha saputo ergersi fino ad insperate conquiste, dopo quello italiano, anche del titolo europeo. Muratore disoccupato, con famiglia a carico a ventotto anni con una decorosa carriera alle spalle, riesce a togliere il titolo italiano al marchigiano Luigi Marini dopo aspra ed equilibrata lotta. Successivamente difendeva vittoriosamente la corona battendo per squalifica Roberto Manoni a Bormio, in casa dello sfidante. La sfortuna però lo attendeva a Montecatini, quando fu costretto all’abbandono per una frattura alla mano all’ottavo round perdendo il titolo a sorpresa, ad opera di Angelo Liquori, pugile sicuramente alla sua portata. Il riavvicinamento alle prime posizioni in campo nazionale durarono due anni. Palermo, la sua città, che lo aveva sempre ignorato, gli diede finalmente la possibilità di rientrare in possesso del titolo italiano. Calisto Bavaresco fece il possibile per mantenere il simbolo del primato ma una contusione muscolare alla spalla sinistra gli impediva il corretto uso del braccio. Le scorrettezze per resistere lo portarono ad una giusta squalifica. Di nuovo in carica Pino Leto respingeva con autorità l’assalto del pesarese Nazario Mariotti e con un contestato pareggio il toscano Andrea Scardigli a Filettino in Ciociaria. Dopo otto mesi a Lucca l’imponderabile lo colpiva sotto forma di una larga ferita subita al primo round al cospetto del concittadino Santo Colombo. Al terzo round l’arbitro sospendeva il confronto e Leto perdeva ancora una volta il titolo italiano. La buona quotazione raggiunta in campo europeo gli faceva accordare un combattimento che per il detentore del titolo sarebbe stato di facile conclusione. Edip Secovic, nettamente favorito dal pronostico, si faceva sorprendere alla sesta ripresa da un destraccio di Leto che gli apriva una profonda ferita. L’attimo di smarrimento del campione gli fu fatale. Il siciliano non si lasciava sfuggire l’occasione e piazzava il destro definitivo che lo avrebbe laureato campione continentale. Solo 122 giorni rimaneva in vetta. Lo sfidante ufficiale Gilbert Dele lo aspettava al varco. Per la seconda volta Palermo si ricordava del suo cittadino e sotto il tendone del Circo Togni venne allestito il combattimento che si presentava  molto sfavorevole per il palermitano. Dele, francese della Guadalupe era pugile da classica mondiale. Picchiatore inesorabile e dal pugilato al limite della correttezza, lo sorprendeva al primo round con un colpo irregolare alla nuca, non rilevato dall’arbitro inglese. Fortuna e sfortuna si sono sempre alternati nella carriera del siciliano. A Salice Terme nel pavese, un suo ultimo tentativo di rientrare in possesso della corona di campione d’Italia contro Romolo Casamonica falliva ancora una volta per ferita all’undicesimo round, quando il match era ancora in equilibrio. Pino Lerto aveva ormai dato tutto sul ring e due anni dopo a Fano, con Michele Mastrodonato, chiudeva il suo capitolo sportivo. Nel frattempo aveva ottenuto un posto di lavoro quale metronotte ed il ragazzo della “vucciria” si dedicherà in seguito ai giovani della sua città.

Pietro Anselmi

 

 

 

 

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