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ADDIO A TEO BETTI, FIRMA STORICA DELLA BOXE

 

 

Cronista puro, marchio di garanzia del pugilato italiano

di Alfredo Bruno

Se ne è andato all’età di 83 anni Teo Betti, firma storica della boxe italiana e mondiale. Un vero e proprio pioniere del giornalismo sportivo, la sua firma era diventata un marchio di garanzia della boxe, che acquistava valore quando alla fine dell’articolo oppure sopra leggevi il nome di Teo Betti per il Messaggero, Franco Dominici, Dario Torromeo, Maurizio Roveri per il Corriere dello Sport; Roberto Fazi, Maurizio Mosca, Giuliano Orlando per la Gazzetta dello Sport, Sergio Sricchia per “Il Guerin Sportivo”; poi c’erano “battitori liberi” come Rino Tommasi, Gianni Minà, Mario Guerrini, Paolo Rosi, Paolo Valenti, Mario Mattioli, volti della televisione conosciuti e facilmente identificabili con il nostro sport. A questi si aggiungevano numerose altre firme, parliamo sempre di “storiche”, come Giuseppe Signori, Gianni Pignata, Mario Bruno, Emanuela Audisio e tanti altri, che poi si sono ramificati in vari sport, necessità della nuova epoca del giornalismo, una sorta di mobilità nello sport, per cui rimane difficile identificarli esclusivamente con la boxe; un ring, quello della stampa, per il quale i contendenti erano i giornalisti e la posta in palio le varie discipline.
Quando, parecchi anni fa, parlavo con Giuseppe Ballarati, manager e autore della “Bibbia” del Pugilato, l’annuario che ha avuto per lungo tempo la maggiore tiratura insieme a quello di “The Ring” di Nat Fleischer, mi chiedeva spesso notizie di Betti, perché lavoravamo entrambi al Messaggero, sia pure con incarichi ben distinti. Ballarati regolarmente mi parlava di episodi di gioventù quando lui e Teo erano due giovani pugili rampanti e si erano incontrati nel 1946 alle eliminatorie del Torneo Novizi dell’Orto Botanico: “Era uno tosto”- si divertiva a raccontare il Commendatore-“ veniva dentro e faceva male, ma io avevo più tecnica e alla fine vinsi”. Questa forza, resistenza e “tostaggine” Teo la riversò più tardi anche nel calcio e nel tennis, come componente del Messaggero, nei vari Tornei Giornalistici. Nel calcio giocava prevalentemente da terzino, era un “cagnaccio” che non lo schiodavi da torno “neanche se gli sparavi”, per dirla in gergo; nel tennis era un “pallettaro” che stroncava gli avversari proprio sul ritmo e sulla resistenza, cosa che avvenne anche dopo i 50 anni. Questa sua forza e inesauribilità fisica traspariva anche nei suoi articoli, dove scriveva pane al pane e vino al vino. Nel Messaggero cominciò nel 1952 da collaboratore. Sul pugilato all’epoca si cimentavano a turno il “capo” Rizieri Grandi, “il maestro” Gualtiero Zanetti ed un giovane rampante di nome Sergio Valentini. Poi pian piano Teo, Teodoro all’Anagrafe, che faceva tra l’altro buona esperienza a Boxe Ring, divenne il titolare della rubrica sul pugilato, bei tempi, altri tempi…
Nel giornalismo attraverso la boxe si fece largo a suon di penna e macchina da scrivere. I suoi articoli piacevano per uno stile senza fronzoli, per lui il giornalismo non era una gara a chi era il più bravo, lui scriveva quello che vedeva e riteneva giusto, senza sotterfugi e compromessi, altra cosa da non sottovalutare. Negli anni 50 e 60 la boxe aveva con regolarità il suo articolo, non parlo di notizia breve, e nel Messaggero appariva inconfondibile la firma di Teo Betti, o alla peggio con la sigla T.B. Divenne quindi inviato, ruolo della massima importanza di un giornale, e il suo primo grande servizio lo fece a Bologna per Cavicchi - Neuhaus, titolo europeo dei massimi. La sua escalation continuò anche come inviato speciale sui ring di quasi tutto il mondo, Stati Uniti in particolare. Si passava dall’epoca dei Mitri e Festucci a quella dei Benvenuti, Mazzinghi, Rinaldi, De Piccoli, Adinolfi, Oliva, Arcari, oro colato per la bravura di Teo. All’epoca, probabilmente anche per viaggi fatti insieme, nacque la sua amicizia con Roberto Fazi e Michele Galdi, il capo” della Redazione Romana della Gazzetta, quando si trovava nella centralissima Piazza San Silvestro. Più tardi a questo binomio si unì Dario Torromeo. Prima di ogni grande avvenimento i tre si telefonavano, oppure pranzavano insieme per scambiare la loro opinione sui protagonisti e gli avvenimenti della boxe.
Conobbi Teo nel 1964 quando entrai nel Messaggero, facemmo subito amicizia, perché avevamo una passione in comune. Divenni pubblicista nel 1968, purtroppo grazie al calcio, e cominciai a scrivere di boxe, soprattutto la parte dilettantistica, nel 1982. Io “divoravo” i suoi articoli e lui leggeva i miei con molta attenzione. Mi bacchettava spesso, non sullo stile di scrittura, ma sulla mancanza di coraggio di scrivere se c’era qualcosa che non andava. Io purtroppo per lui somigliavo un po’ al “medico pietoso”. Bastone e carota da parte di un maestro del campo come lui. La carota arrivava quando mi elogiava per la pazienza con cui andavo alla ricerca di un mondo sconosciuto, l’interno delle palestre.
Come abbiamo detto in precedenza il giornalismo sportivo cambiava, “la balena calcio” divorava tutto. Il pugilato scendeva di qualche gradino, mentre altri sport salivano nell’interesse della gente e soprattutto dei direttori di giornale. Betti, da buon duro, si cimentò come giornalista anche nel Rugby, un gioco di squadra che esprimeva il suo “credo” e la sua visione della vita, e il tennis, altra sua passione che non lo ha abbandonato mai. La boxe, pur aumentando le pagine sportive dei giornali, non aveva più il rilievo di un’ epoca, neppure tanto remota. La fedele macchina da scrivere lasciava il posto alla tastiera del Computer. Teo fu costretto a usarla, ma quando poteva, soprattutto a casa, spolverava la sua Olivetti per sentire il tintinnio dei tasti. Il suo stile con il passare del tempo non era cambiato, ma piaceva anche ai giovani, era diventato senza volerlo un maestro. Una scuola che purtroppo, non me ne vogliano i giovani, è totalmente cambiata in sudditanza di uno stile cibernetico, che ci sta spersonalizzando. 
I limiti di età nella seconda metà degli anni ’90 imposero il pensionamento a Betti, che rimase comunque, sia pure come collaboratore, al Messaggero. Per anni scrisse ancora vari articoli, mentre di boxe se ne parlava sempre di meno. Nella redazione sportiva aveva il suo telefono e la sua scrivania. Puntuale si presentava ogni giorno alle 15, era a disposizione di tutti, pronto a scrivere all’occorrenza. Il cuore cominciava a creare qualche problema, la roccia accusava il peso degli anni, come il dodicesimo round di un pugile. Un giorno Teo non si presentò in Redazione, per i colleghi non ci volle molto a capire che quel “romanaccio”, esperto di boxe, si era ritirato definitivamente in attesa…del verdetto.

 

 

 

 

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