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TAMAGNINI CONTRO IL LEGGENDARIO PANAMA AL BROWN

 

 

Ottantadue anni fa, una sfida straordinaria

di Alessandro Bisozzi

È il 25 giugno del 1932, al Palazzo dello Sport di Milano (in realtà il padiglione delle esposizioni della Fiera di Milano) si svolge una manifestazione sportiva che lascerà il segno nella storia del pugilato italiano.
Il campione italiano dei pesi piuma Vittorio Tamagnini affronta il campione del mondo dei pesi gallo, il leggendario Panama Al Brown, in arte "Black Spider".
L'incontro, naturalmente, non era valido per il titolo del mondo, ma in quel periodo Al Brown stava pensando di conquistare anche la corona dei pesi piuma e quel combattimento era uno dei suoi match di verifica. Esso, infatti, fu considerato a tutti gli effetti una semifinale mondiale dei piuma e si tenne al limite di peso della categoria. Cinquantacinque chili e cento grammi per il panamense, uno in più per Vittorio.
 
 
Di seguito, alcuni brani del resoconto del match, tratto dal libro: "Vittorio Tamagnini. L'uragano di Amsterdam".
 
Tamagnini è già salito sul ring, ha un accappatoio azzurro, lo stesso colore di quello indossato alle Olimpiadi e della sua divisa di aviere; il pubblico lo applaude a lungo, Milano è la sua seconda casa e molti appassionati lo seguono.
È alquanto teso, molto concentrato, consapevole di essere a un punto cruciale della carriera. All’angolo, mentre suo padre lo aiuta ad infilare un paio di bellissimi guantoni bianchi, il maestro Zanatti gli sciorina le ultime raccomandazioni.
Tra pochi minuti si scatenerà una vera battaglia e l’immagine della corpulenta figura di papà Benedetto premurosamente intento ad accudire il figlio è commovente.
Vittorio appare pensieroso (al suo posto chi non lo sarebbe stato del resto), gli tornano in mente le calde giornate di Amsterdam, dove tutto ebbe inizio, le sue belle vittorie e la sconfitta, l’unica, dallo spagnolo duro come l’acciaio.
All'improvviso, un fragoroso applauso lo distoglie dai pensieri, il campione del mondo sta entrando nell'immensa sala ovale del Palazzetto.
Era la prima volta che arrivava in Italia e il pubblico di Milano gli riserva una calorosa accoglienza. Tutti vogliono vedere da vicino il "Ragno Nero", il danzatore dal pugno assassino, il re di Parigi.
Mentre insieme ai secondi passa veloce tra i pieghevoli intorno al ring, centinaia di braccia si allungano nel vano tentativo di toccarlo.
È spavaldo, sicuro, impassibile. Sale sul quadrato, saluta la platea, poi, saltellando da un lato all'altro come a prendere possesso del campo di gara, passa davanti a Vittorio, concedendogli lo stesso benevolo sorriso di clemenza che si potrebbe elargire ad un bambino sorpreso con le mani nella marmellata.
L’arbitro li chiama al centro per le raccomandazioni di rito, Panama lo sorpassa in altezza di quasi tutta la testa, la sproporzione di mezzi tra i due è quasi imbarazzante.
I guantoni bianchi cozzano contro quelli neri del panamense, il combattimento ha inizio.
L'italiano è prudente, circospetto, azzarda alcuni jeb sbrigativi, non può scoprirsi troppo a lungo, quel destro aleggia come un cobra con la bocca spalancata
Favorito dal lungo sinistro, Panama lo tiene a distanza, lo studia, cerca un varco, in quella piccola testuggine, dove infilare il tocco narcotico.
Al secondo round, Tamagnini si fa intraprendente, avanza ermeticamente chiuso nella guardia e assesta qualche preciso colpo di disturbo, il suo nervoso gioco di gambe manda a vuoto ogni tentativo del panamense, meno un destro saettante, sbucato dal nulla, che lo centra alla testa appena sopra la tempia.
Tra il pubblico, pochissime persone si accorsero della smorfia di dolore abbozzata dal campione del mondo nel momento in cui ritrasse il pugno. Quella mano continuava a dargli problemi e quel colpo sembrò danneggiare, paradossalmente, più lui che il suo avversario.
Terza ripresa, il civitavecchiese ha recuperato bene, ora  vuole saggiare velocità e portate del rivale; si avvicina, i pugni ben raccolti sul viso, i gomiti stretti sui fianchi, Panama gli lancia alcune larghe sventole, lui schiva, rientra, ruota appena il corpo e scarica uno splendido montante sinistro al mento: un'esecuzione da manuale.
Al Brown, grazie al suo notevole allungo, ha la possibilità di far partire i colpi da distanze siderali.
Quando sferra il destro è anche capace, alzando da terra il piede d'appoggio in una sorta di saltello in avanti, di estendere parecchio la gittata del tiro; tutto questo con una rapidità di esecuzione sbalorditiva. Quel pugno sembrava arrivare ancor prima di partire.
I suoi movimenti avevano qualcosa di ben diverso dalla semplice imprevedibilità, erano inconcepibili. Gli bastava aprire le braccia e fare un passo per arrivare dappertutto e in molto meno tempo di quanto si potesse immaginare, sapeva essere pericoloso e micidiale in ogni situazione, perfino quelle a lui più sfavorevoli.
Veder boxare quell'allampanato fenomeno era come assistere ad un mirabile spettacolo d'arte pura.
Nella quarta e quinta ripresa Al appare in lieve difficoltà; Vittorio approfitta delle sue iniziative inchiodandolo a sorpresa in controtempo ad ogni avanzata, poi, però, si fa bloccare un'incursione da un gancio sinistro al fegato, un colpo malefico incassato, tuttavia, nello stesso istante in cui piazza un potente diretto destro al viso.
Egli cerca più volte di avvicinarsi quasi in corpo a corpo, la distanza giusta per ostacolare le ampie manovre dell’avversario, ma non è facile mantenere la posizione; attrezzato di gambe lunghissime, Al si muove spedito e la tattica si trasforma in un'incessante e alquanto pericoloso inseguimento.
Nella sesta ripresa, Tamagnini neutralizza un'offensiva del panamense, lo aggira, si volta e gli spara in pieno viso un poderoso diretto sinistro.
Ruotando su se stesso, nel tentativo di evitare il colpo, Panama finisce addosso all’arbitro, si sbilancia e cade, l’azione è così lesta da sembrare un knock down.
I diecimila del Palazzetto saltano in piedi lanciando un urlo subito soffocato non appena il campione del mondo si rialza. Ma ormai mancano solo dodici minuti alla fine.
Egli usa una tecnica ad invito molto efficace, la guardia aperta e le braccia abbassate portate con sicumera sembrano lasciare ampi spazi alle incursioni dell'avversario. Una trappola che la lucida astuzia del "Moschettiere" fa quasi sempre scattare a vuoto.
Dalla settima ripresa, Tamagnini mostra una sicurezza tale da rasentare l’incoscienza, ormai pare aver assimilato del tutto le tattiche dell'altro. Due doti naturali come un colpo d'occhio rapidissimo e dei riflessi eccezionali gli permettevano di cogliere l'inizio dell'attacco e anticipare al massimo la risposta.
Ora controlla puntualmente, quasi con indifferente distacco, le traiettorie dei tiri in arrivo; è dinamico, attivissimo, non perde un'occasione, le repliche sono immediate, pungenti. Para, schiva, si tuffa all'assalto, piazza precise scariche al viso poi si defila alla svelta.
Sono pugni non potentissimi, ma portati quasi sempre d'incontro e favoriti da una ben sincronizzata scelta di tempo.
All’ottava ripresa Al appare stanco, non è allenato per sostenere il ritmo imposto dall’italiano, in genere chiude i combattimenti con spietata sollecitudine. Commette alcune scorrettezze come bloccare le braccia e spingere alle corde l’avversario il quale, a un certo punto, inciampa all’indietro proprio mentre è stretto in un clinch. I due cadono insieme sulle corde, Vittorio è sotto e ha la peggio, Al Brown gli rovina sopra e per scavalcarlo gli da un’involontaria ginocchiata al fianco.
Nella penultima ripresa, il "Ragno Nero" sembra nervoso, non riesce a controllare quel diavoletto che sfugge e sbuca da ogni parte.
Per tentare di colpirlo si scopre e Tamagnini, a questo punto pienamente padrone del match, ne approfitta per intensificare gli attacchi, riuscendo spesso a doppiare i colpi in uscita.
Panama lo chiude ancora in clinch spingendolo alle corde e per poco, questa volta, l’italiano non cade fuori del ring.
È l’ultimo round.
Stanco e rassegnato Al abbozza una reazione stroncata sul nascere dalla dirompente replica dell'avversario. Il civitavecchiese macina punti su punti, è una mitraglia, travolgente, inarrestabile, il panamense non accenna neanche più una difesa, indietreggia aspettando solo l’ultimo gong.
 Il pubblico è in piedi in un tripudio di applausi, i flash dei fotografi intorno al quadrato esplodono come fuochi di artificio, immortalando gli ultimi istanti di un indimenticabile evento sportivo.
Tamagnini vince per decisione unanime.
La gioia del padre è incontenibile e il suo esuberante entusiasmo rischia ripetutamente di mettere knock out chi gli sta vicino.
Per la prima volta un pugile italiano sconfigge un campione del mondo in carica.
Dopo la lettura del verdetto, il panamense si complimentò col vincitore e la tensione nervosa dei due combattenti si sciolse in un caloroso abbraccio.
Vittorio riuscì a raggiungere lo spogliatoio a stento, scortato dai suoi secondi tra due ali di folla esaltata dall'inaspettato risultato ottenuto dal piccolo aviere di Civitavecchia.
Intervistato dai giornalisti, Al Brown elogiò la bella e meritata vittoria dell’italiano, dichiarando di essere rimasto sorpreso dalla sua boxe disinvolta e dinamica: «Tamagnini ha vinto meritatamente, io non ho scusanti, è un grande pugile, la sua scherma disorienta ed è velocissima, attualmente è molto difficile batterlo, farà una bella carriera».

 

 

 

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