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LA BOXE IN LUTTO PER OTTAVIO PANUNZIdi Alfredo Bruno ROMA, 4 marzo 2015 – Ottavio Panunzi, 82 anni, da tempo soffriva di un male purtroppo incurabile. Il suo fisico perfetto, non ha retto l’impatto e la zona di Centocelle piange il suo figlio diletto. Chi ha seguito la boxe negli anni '50 e '60, difficilmente non può ricordare questo aitante mediomassimo romano, “re” dei contorni delle grandi riunioni della Capitale, conteso dai vari organizzatori dell’epoca, Rino Tommasi in primis, che faceva carte false per averlo nelle sue manifestazioni. Da dilettante è stato uno dei pugili più importanti: due volte vincitore agli Assoluti nel 1953-1955, Campione dei Mondiali Militari, e protagonista nel 1956 alle Olimpiadi di Melbourne, dove dopo aver distrutto il canadese Gerald Collins, veniva superato di misura dal romeno Gheorghe Negrea, che a sua volta perdeva la finale con l’americano Boyd. Una carriera formidabile che non poteva passare inosservata in una piazza importante come quella romana. Luigi Proietti lo prese nel suo gruppo di campioni e l’Indomita e l’Audace furono per lungo tempo le sue palestra. Ottavio aveva un fisico scultoreo ed una potenza micidiale, capace di capovolgere qualsiasi situazione, solo che da professionista non mantenne le aspettative. Era pur sempre un idolo per i romani, quando usciva dagli spogliatoi con il suo bel accappatoio il pubblico lo osannava. I suoi primi match li disputò a Bologna, ma il primo campanello d’allarme lo subì ad opera del tedesco Gunther Huber. La sua mascella non era a prova di bomba, ma i suoi pugni sì e se ne accorse Huber nella rivincita quando fu schiantato in 4 round. Sante Amonti, un altro beniamino, sudò le proverbiali sette camicie al Palazzetto. Diciamo che la conduzione su di lui non fu delle migliori. Non era facile trovargli un avversario, tutti lo schivavano. Una sua serie di successi fu interrotta da Domenico Baccheschi, pugile solido e buon tecnico. Dopo un po’ fu sconfitto da Plinio Scarabellin e da Artenio Calzavara, senza dimenticare che quest’ultimo era stato campione d’Europa, mentre il primo era un massimo e non un mediomassimo. Il 1960 sembra l’inizio della sua riscossa, gli avversari cadono come birilli e supera Baccheschi in un accesa rivincita. Il 1961 sembra scorrere sulla falsariga del precedente: anche un pugile esperto e formidabile incassatore come l’anziate Nando Spallotta conosce contro di lui la prima umiliazione prima del limite. Solo il quotato Germinal Ballarin lo ferma per ko dopo un match con capovolgimenti di fronte con il pubblico con il fiato sospeso, mentre Ottavio supera ai punti gente di caratura internazionale come il tongano Halafihi e il campione belga Eli Elandon. Il romano non rifiuta nessun avversario, ma il brasiliano Renato Moraes, uno dei “cobra” importati da Tagliatti lo giustizia al settimo round dopo un match durissimo. Metterlo dopo poco contro un soggetto come Freddy Mack, che aveva tenuto in scacco Amonti e Rinaldi, non fu una buona idea. Ma Moraes e Mack all’epoca non trovavano avversari. Da grande promessa il romano era diventato il collaudatore ideale per gente come Del Papa, futuro campione d’Europa, e Guerrino Scattolin, un veneto intagliato nella roccia. Fu Renato Moraes a mettere fine alla sua carriera. Una fine non decretata dal ko subito, ma dalla consapevolezza che da lui si voleva l’impossibile.Alfredo Bruno ![]() |
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Luigi Proietti lo prese nel suo gruppo di campioni e l’Indomita e l’Audace furono per lungo tempo le sue palestra. Ottavio aveva un fisico scultoreo ed una potenza micidiale, capace di capovolgere qualsiasi situazione, solo che da professionista non mantenne le aspettative. Era pur sempre un idolo per i romani, quando usciva dagli spogliatoi con il suo bel accappatoio il pubblico lo osannava. I suoi primi match li disputò a Bologna, ma il primo campanello d’allarme lo subì ad opera del tedesco Gunther Huber. La sua mascella non era a prova di bomba, ma i suoi pugni sì e se ne accorse Huber nella rivincita quando fu schiantato in 4 round. Sante Amonti, un altro beniamino, sudò le proverbiali sette camicie al Palazzetto. Diciamo che la conduzione su di lui non fu delle migliori. Non era facile trovargli un avversario, tutti lo schivavano. Una sua serie di successi fu interrotta da Domenico Baccheschi, pugile solido e buon tecnico. Dopo un po’ fu sconfitto da Plinio Scarabellin e da Artenio Calzavara, senza dimenticare che quest’ultimo era stato campione d’Europa, mentre il primo era un massimo e non un mediomassimo. Il 1960 sembra l’inizio della sua riscossa, gli avversari cadono come birilli e supera Baccheschi in un accesa rivincita. Il 1961 sembra scorrere sulla falsariga del precedente: anche un pugile esperto e formidabile incassatore come l’anziate Nando Spallotta conosce contro di lui la prima umiliazione prima del limite. Solo il quotato Germinal Ballarin lo ferma per ko dopo un match con capovolgimenti di fronte con il pubblico con il fiato sospeso, mentre Ottavio supera ai punti gente di caratura internazionale come il tongano Halafihi e il campione belga Eli Elandon. Il romano non rifiuta nessun avversario, ma il brasiliano Renato Moraes, uno dei “cobra” importati da Tagliatti lo giustizia al settimo round dopo un match durissimo. Metterlo dopo poco contro un soggetto come Freddy Mack, che aveva tenuto in scacco Amonti e Rinaldi, non fu una buona idea. Ma Moraes e Mack all’epoca non trovavano avversari. Da grande promessa il romano era diventato il collaudatore ideale per gente come Del Papa, futuro campione d’Europa, e Guerrino Scattolin, un veneto intagliato nella roccia. Fu Renato Moraes a mettere fine alla sua carriera. Una fine non decretata dal ko subito, ma dalla consapevolezza che da lui si voleva l’impossibile.
