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Kinshasa 1974: quella notte nello spogliatoio con Muhammad AlìL'allora Cassius Clay prima del match con Foreman raccontò poesie e parlò di apartheidGIAN PAOLO ORMEZZANO Torino Autunno del 1974, Kinshasa ex Léopoldville, Zaire ex Congo belga: il dittatore Mobutu ha regalato ai suoi vessatissimi sudditi il match di boxe del millennio per il titolo mondiale dei massimi, tra lo sfidante Muhammad Ali che sino al 1964 del suo raptus islamico era Cassius Clay cristiano battista, e il detentore George Foreman. Ali ha 32 anni, l’altro 25. Sono entrambi neri afroamericani, ma per la gente di Mobutu Ali è il nero d’Africa che torna dai suoi fratelli, George è lo «zio Tom» d’America amico dei bianchi: vietato cambiare il copione e tifare Foreman, lo dice anche Mobutu, che ogni sera - colbacco di leopardo e scettro d’oro - impone in tivù la registrazione di un suo memorabile ma per noi bianchi misterioso intervento all’Onu sulla «authenticité» dei neri. Tanta gente assedia lo stadio dove ci sarà il match e grida «Alì boma yé», Alì uccidilo. Sarà fatto. Muhammad Alì Sono a Kinshasa, non ho accredito ma ho Lucien, conosciuto a Parigi da dove scriveva per un giornale congolese di Mobutu. Lucien e chissacosaltro, comunque mi dice di scordarmi Lucien, lui lì è Thsimpumpu Wa Thsimpumpu («Tu sais, l’authenticité»). Lì è anche un ras, mi porta dall’aeroporto all’albergo e poi allo stadio, Ali sta dentro una stanzetta, è il tempo del massaggio. Mugghiano fuori cento e cento giornalisti di tutto il mondo, aspettano la carità di una miniconferenza stampa del pugile dio. Non l’avranno perché Ali dedicherà troppo del suo tempo al giornalista italiano introdottogli da Angelo Dundee calabrese, Mirinda il suo nome d’origine, Angelo che è padre e fratello di Ali. Angelo che soprattutto è amico di Gianni Minà, come me e come Ali. Preavvertito dall’Italia, dice ad Ali che Gianni garantisce per me, parte il colloquio. |
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